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di Chiara Putignano

Le hanno provate proprio tutte Elisabetta e Federico, mamma e papà di tre bimbi, in attesa dal 2017 per un alloggio popolare. Loro sono una delle due famiglie escluse dal bando per l’emergenza abitativa del Comune di Terni indetto la scorsa estate e che ora hanno fatto ricorso al Tar. Azione legale che sarebbe stata impossibile senza i fondi racimolati con un’apericena sociale. Una storia fatta di fogli e burocrazia, documenti non riconosciuti, autotutele, innumerevoli articoli-denuncia sui giornali, promesse non mantenute e, sopratutto, ingiustizie. Il grido d’aiuto: «Bandecchi parli con noi, ci aiuti».

L’appello al sindaco Dopo otto mesi di contatti di vario genere con la giunta Bandecchi, Federico e Elisabetta parlano direttamente al primo cittadino: «Siamo una delle due famiglie che sta facendo ricorso al Tar contro l’esclusione dal bando per l’emergenza abitativa. Per il nostro caso sono stati fatti anche numerosi articoli di giornale. Chiediamo di parlare con lei, solo ed esclusivamente con lei, perché i contatti avuti negli ultimi otto mesi con membri della sua giunta, non hanno portato ad alcun riscontro. Quello che chiediamo è un aiuto concreto che finora non ci è stato dato. Durante la campagna elettorale lei ha detto che avrebbe ascoltato le famiglie in difficoltà, più volte abbiamo tentato di contattarla ma, o non c’era risposta, oppure ci ha risposto il vicesindaco. Le facciamo questa breve lettera sperando in un incontro con lei, dato che ci rappresenta come sindaco».

La storia Ma facciamo un passo indietro. Come si è arrivati a questa richiesta? Contattati da Umbria24 Federico e Elisabetta parlano dalla loro casa in affitto: «Il costo è di 500 euro al mese, io ne prendo solo 800. Il resto vanno direttamente a coprire i debiti», spiega la donna. «Prima facevo il cuoco – racconta invece Federico – adesso purtroppo ho un’invalidità certificata al 90% e il lavoro che amavo fare, non posso farlo più. Ogni mese ricevo una pensione di 340 euro, prima ne prendevo 100 al giorno». Una vita al limite, quella della loro famiglia, sempre alle prese con il fare i conti e la burocrazia. Anche se piccoli aiuti e contributi sono arrivati, come quello della Comunità di Sant’Egidio, la situazione è da tempo precaria. «Adesso viviamo in affitto in questo appartamento con tre camere da letto e due bagni, ma ci sono tante cose che non vanno. La casa è vecchia e la stanza di uno dei nostri figli non è idonea, c’è la muffa». Ma questo è quel che possono permettersi stringendo la cinghia al massimo. «Nel 2017 – raccontano – abbiamo fatto la prima richiesta per un alloggio popolare. Nel 2019 è uscita la graduatoria: c’eravamo». Un sospiro di sollievo per la famiglia? No, «ci hanno detto che quegli alloggi erano troppo piccoli per noi».

La ricerca di una casa Da lì è un susseguirsi di richieste d’aiuto che arrivano fino ad oggi. «Ci siamo mossi con le vecchie giunte, ma anche con la nuova. Ci siamo messi in contatto con l’assessore Altamura, sperando potesse aiutarci». E pochi giorni prima dalla pubblicazione del bando per l’emergenza abitativa, proprio Altamura scrive tramite la pagina del Comune: «Seguo la famiglia del signor Federico da quando mi sono insediata come assessore al Welfare, mi sono adoperata subito». Eppure da allora, 12 agosto 2023, la situazione di Elisabetta e Federico non è affatto cambiata. Poi il 18 agosto dello scorso anno esce un nuovo bando per l’edilizia residenziale pubblica. Com’è andata? «Ci chiamano e ci avvisano che eravamo stati esclusi perché il bando prevedeva che chiunque avesse precedenti penali sarebbe stato tagliato fuori. Mio padre ha indossato la divisa per 38 anni – spiega Federico – parliamo una ‘sciocchezza’ commessa vent’anni fa». Proprio su quella clausola si è avviato un ampio dibattito politico e sindacale, anche in Regione. Ne segue un’altra commissione, ma anche questa volta la richiesta della famiglia viene bocciata. Il problema? «Dicevano che il certificato della Asl d’invalidità di nostro figlio fosse scaduto. Ma al momento della presentazione della domanda – come richiesto da bando – era valido. Nessuno si è degnato di chiederci altra documentazione». E così Federico, in una corsa contro il tempo, presenta un’autotutela e consegna il nuovo certificato. Ma poi l’ennesima doccia fredda. Dalla terza si passa direttamente alla quarta commissione: «Il certificato è tardivo», gli viene detto.

Ricorso La famiglia vive la situazione come l’ennesima sconfitta. Ma non si abbatte e decide di fare ricorso al Tar. Per potersi permettere questa azione legale però la famiglia insieme ad un’altra esclusa dal bando organizzano un’apericena sociale. In prima linea a sostegno della causa di Federico ed Elisabetta – non solo quella sera – oltre a cittadini e associazioni, c’erano anche Silvia Tobia e Potere al Popolo, Usb, Yuri Urbani e Rifondazione comunista, Bella ciao, Pierluigi Rainone (Vas), Pd, Thomas De Luca e M5s, l’assessore regionale Enrico Melasecche e la Comunità di Sant’Egidio. Anche se l’apericena è stato organizzato insieme ad un’altra famiglia – anch’essa esclusa dal bando – alla fine, riuscendo ad ottenere il libero patrocinio, ha ceduto la propria parte di fondi alla famiglia di Elisabetta e Federico. Qualche giorno fa c’è stata la prima udienza al Tar, «ma la vicenda in questo modo, si sa, andrà per le lunghe». Così la famiglia, dopo innumerevoli altri tentativi, cerca l’attenzione del sindaco di Terni Stefano Bandecchi. E si dice pronta a rinunciare al ricorso qualora lui decidesse di ascoltarli. «Non chiedo sussidi o contributi vari – dice Federico – vorrei solo un tetto per la mia famiglia, che ci spetta di diritto».

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