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Un prestito da 6,3 miliardi di euro ad un tasso agevolato con parziale garanzia della Sace (ossia in ultima istanza dal ministero del Tesoro) per sostenere le attività italiane di Fca, con i suoi 54mila dipendenti e i circa 300mila nella componentistica e nella distribuzione e assistenza dei veicoli. Un finanziamento assimilabile ad un contratto di filiera — da rimborsare entro tre anni — con rilevanza sistemica sull’automotive, coerente con la missione di Intesa Sanpaolo nel supportare l’economia del Paese. L’operazione data la dimensione è tuttora oggetto di valutazione e dovrà comunque essere deliberata in consiglio di amministrazione.


La richiesta di Fca arriva attraverso Fca Italy, sfruttando la norma introdotta dal governo. Un importo pari al 25% del fatturato 2019, tetto previsto da Sace, che ammonta a 25,2 miliardi, a sua volta un quarto dei ricavi globali di gruppo, pari a 108 miliardi. Fca Italy è la controllata della capogruppo Fca. Quest’ultima ha spostato la sede legale ad Amsterdam per usufruire della normativa sul voto multiplo. A variare è stata anche la sede fiscale, con un trasferimento a Londra per risparmiare le imposte sui dividendi ai soci, tra cui l’azionista Exor, la holding che fa capo alla famiglia Agnelli.

Negli ultimi tre anni Fca Italy ha chiuso i bilanci in rosso (-1,1 miliardi nel 2016, -673 milioni nel 2017, per -1,25 miliardi nel 2018), complici le difficoltà del mercato dell’auto ora travolto dalle misure di lockdown, con il quasi azzeramento delle immatricolazioni(-98% ad aprile). Un mercato già sofferente, tanto da spingere il ministero dello Sviluppo ad avviare un tavolo per il rilancio del settore.

Ma la richiesta di garanzia pubblica fa storcere il naso a molti per la decisione di spostare la capogruppo a Londra. L’Agenzia delle entrate ha avviato un accertamento nei confronti di Fca per omesso versamento della Exit Tax, prevista dal 1995 per tutte le aziende che spostano la residenza all’estero. Il procedimento si è concluso con un’adesione volontaria da parte di Fca, che ha deciso di pagare a rate oltre 700 milioni, sanando il pregresso e avvalendosi tra l’altro delle compensazioni debiti/crediti in forza degli ultimi bilanci in rosso.

Sul versante politico l’operazione alimenta più di una polemica. Malgrado la richiesta di Fca sia effettuata per finanziare le attività degli impianti italiani, con la specifica che il prestito venga destinato al pagamento dei fornitori, agli investimenti contenuti nel piano industriale, a sostenere i costi del personale e più in generale a tenere in attività le aziende della filiera e i loro lavoratori. Il viceministro dell’Economia, Antonio Misiani, sostiene «che lo Stato italiano debba preoccuparsi dei dipendenti di Fca, esattamente come deve preoccuparsi della sorta delle attività commerciali e di tante attività economiche andate in difficoltà». La posizione più dura all’interno della maggioranza viene però assunta da Leu, per bocca del portavoce nazionale, Nicola Fratoianni. «Vedo che Fca della famiglia Agnelli chiede che lo Stato garantisca per una richiesta di prestito da 6,3 miliardi di euro. Bisognerebbe chiedere in contropartita che riportino la sede legale e il domicilio fiscale in Italia, dopo averle spostate in Olanda e in Gran Bretagna», osserva Fratoianni. Il tema sul dove e sul come vengono pagate le imposte, del resto, rimane un fianco scoperto per il gruppo Fca. Tanto che Fratoianni dice: «Così almeno un po’ di tasse in più in Italia arrivano. È una questione di garanzie».

Analoga è la lunghezza d’onda del vicesegretario del Pd, Andrea Orlando. «Senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale, credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia. Attendo strali contro la sovietizzazione e dotti sermoni sul libero mercato». Sul fronte sindacale Francesca Re David (Fiom Cgil) dice di ritenere «necessario che il governo convochi un tavolo per tutelare l’occupazione».





 

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