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Quali rischi si corrono con il fisco e con gli eredi quando l’atto di vendita è finto e simula una donazione.

Anche se, nella prassi, è più frequente la donazione, nulla esclude che un genitore possa vendere la casa a un solo figlio. Ma se quest’atto costituisce una simulazione si può andare incontro a una serie di problemi, sia di natura successoria che fiscale. Vediamo meglio più da vicino cosa succede quando, sotto l’apparenza di una vendita, si simula in realtà una donazione.

Un figlio può comprare casa dal genitore?

È lecito il

contratto di compravendita tra figlio e genitore. È necessario tuttavia che risulti lo scambio effettivo del denaro attraverso metodi tracciabili (assegno non trasferibile o bonifico bancario). Diversamente l’atto sarà considerato invalido per simulazione. A questo punto si possono aprire due scenari diversi:

  • se le parti non volevano dar luogo ad alcun trasferimento della proprietà del bene, tant’è che il finto venditore è rimasto nella disponibilità materiale dell’immobile, si avrà simulazione assoluta. Con la conseguenza che chiunque potrà agire dinanzi al giudice, senza limiti di tempo, per contestare la finta vendita e far rientrare il bene venduto nel patrimonio del venditore;
  • se le parti volevano nascondere, con la finta vendita, una donazione si avrà allora una simulazione relativa. In questo caso l’azione per l’annullamento della vendita dovrà essere intrapresa entro massimo dieci anni.

Cosa succede se il figlio paga regolarmente il prezzo al genitore?

Se la vendita è effettiva, sicché il figlio versa regolarmente il prezzo al genitore, l’atto è valido e non può essere contestato da nessuno, neanche dal fisco nel caso in cui il venditore dovesse avere delle pendenze.

Attenzione però: il prezzo indicato nell’atto di compravendita deve essere proporzionato al valore di mercato del bene. Diversamente, dinanzi a una evidente e immotivata riduzione, si possono verificare due conseguenze:

  • l’Agenzia delle Entrate può contestare un’evasione fiscale per l’imposta di registro;
  • i parenti del donante possono ritenere l’operazione come una simulazione relativa, volta cioè a nascondere una donazione. Anche in tal caso l’azione può essere promossa entro 10 anni.

Cosa succede se la vendita è simulata?

Se la vendita è simulata e nasconde una donazione, gli eredi del finto venditore possono, entro 10 anni dalla sua morte, agire con l’azione di riduzione per lesione della legittima. Possono però farlo solo il coniuge e i figli (o, in assenza dei figli, i genitori). Tali sono i cosiddetti eredi legittimari: ad essi spetta sempre una quota del patrimonio del defunto. L’azione di riduzione dei legittimari è subordinata alla lesione delle quote di legittima a questi ultimi spettanti.

Se dovesse infatti risultare che uno degli eredi legittimari ha ricevuto meno di quanto gli spetta per legge, questi potrebbe agire sia contro la divisione ereditaria (con o senza testamento), sia – se ciò non dovesse essere sufficiente – contro le donazioni o le finte vendite fatte dal defunto quando ancora era in vita.

Non è tutto. La vendita simulata può essere contestata anche dai creditori del donante che potrebbero agire, entro 5 anni dal rogito, con la cosiddetta azione revocatoria volta a recuperare il bene nel patrimonio del venditore e poi sottoporlo al pignoramento. Tale azione è subordinata alla prova che, all’esito della cessione, il genitore è rimasto privo di beni utilmente pignorabili.

Quando la finta vendita è un reato?

Se la vendita è rivolta solo ad evitare che il fisco possa pignorare il bene e il debito maturato con l’erario è superiore a 50.000 euro ed è dovuto all’omesso pagamento delle imposte sui redditi (Irpef, Ires) o Iva si rischia una denuncia per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni (da 1 a 6 anni per debiti superiori ai 200mila euro.

Oltre a ciò, si ha la revoca della finta vendita e il pignoramento del bene.

Come fa un genitore a vendere la casa al figlio

Sintetizzando, se un genitore vuol vendere la casa al figlio dovrà innanzitutto assicurarsi che l’atto non simuli una donazione. Dovrà quindi recarsi dal notaio con l’atto di provenienza (ossia l’atto in forza del quale ha acquisito la proprietà del bene) e, in quella sede, insieme al figlio, sottoscrivere il rogito.

Il figlio dovrà corrispondere le imposte sul trasferimento a titolo oneroso che variano a seconda che il bene sia “prima casa” o meno.

Se è prima casa, è dovuta l’imposta di registro al 2%, l’imposta ipotecaria e catastale nella misura di 50 euro ciascuno.

Se non è prima casa, l’imposta di registro sale al 9% mentre l’imposta ipotecaria e catastale sono rispettivamente dovute nella misura del 2% e dell’1%.

Per poter usufruire del bonus prima casa, è necessario che il figlio non abbia altre abitazioni nello stesso Comune ove si trova il bene da acquistare.

Non deve poi possedere un altro immobile acquistato in precedenza con il bonus prima casa: diversamente dovrà cederlo entro 1 anno dal nuovo rogito.

Egli dovrà infine trasferire la propria residenza nel Comune ove si trova la casa che il genitore gli trasferisce, entro 18 mesi dal rogito (non necessariamente nella stessa via e numero civico).

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