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Le conseguenze della crisi delle nascite in Italia stanno arrivando prima di quanto ci si potesse attendere. Le persone in età lavorativa si stanno riducendo rapidamente e le imprese hanno difficoltà a trovare lavoratori. Tutto questo ha un impatto rilevante sul sistema pensionistico italiano. Un sistema ormai contributivo, ma che funziona con il metodo della “ripartizione”. Cosa significa? Che se da un lato è vero che gli assegni via via saranno più bassi perché calcolati in base ai contributi versati, dall’altro resta il fatto che non esiste un salvadanaio pensionistico individuale. Le pensioni in essere vengono ogni mese pagate dall’Inps con i contributi incassati. Meno lavoratori ci sono, meno contributi si incassano. Per questo l’imperativo del governo sta diventando quello di tenere al lavoro più persone possibile il più a lungo possibile. Per farlo, vanno ridotte i prepensionamenti e bisogna convincere chi lavora a prolungare la permanenza nel proprio posto. Per raggiungere questo secondo obiettivo il governo sta pensando a dei “bonus” simili a quelli già introdotti lo scorso anno per chi rinuncia al prepensionamento con Quota 103.

Pensioni, spuntano i bonus mirati per ritardare l’uscita: l’ipotesi 41 light e la nuova stretta sulle rivalutazioni. Cosa cambia ora

Pensioni, cosa accade a chi ha 62 anni e 41 di contributi

Chi, pur avendo compiuto 62 anni e maturato 41 anni di contributi, decide di non usare lo scivolo pensionistico, può ottenere in busta paga (su domanda all’Inps) un aumento del 9,19 per cento, ossia un esenzione dal versamento dei contributi sullo stipendio dovuti dal lavoratore. Una sorta di “bonus Maroni” che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già detto di apprezzare. Oppure, è l’altra ipotesi, valorizzare in misura maggiore i contributi versati all’Inps dopo una certa età. Nel primo caso si guadagnerebbe di più lavorando più a lungo, nel secondo caso si otterrebbe una pensione più alta. Non è ancora chiaro se questi “bonus” potranno essere applicati alla generalità dei lavoratori, o soltanto ad alcune categorie che sembrano trovarsi in situazioni di maggiore difficoltà. Come per esempio le forze dell’ordine. Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, hanno tutti le stesse regole: Il limite di età per il pensionamento in questo comparto è di 60 anni. Un paio di mesi fa il capo dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, con una lettera, aveva chiesto di convocare un tavolo di coordinamento del settore per alzare l’età di pensionamento su base “volontaria” di due anni. Ma per convincere poliziotti e carabinieri a rimanere più a lungo al lavoro è necessario che il governo introduca qualche incentivo. Per i medici è stato fatto, alzando l’età a 72 anni. L’altro lato della medaglia sono i prepensionamenti. A fine anno scadono sia Quota 103, che la nuova Opzione donna e l’Ape sociale. Che fine faranno? Molti danno per morto il sistema delle quote. Quota 103, del resto, è stata usata solo da un migliaio di persone. E non c’è da stupirsi. È stata riempita di disincentivi. Chi la usa è costretto a subire un ricalcolo contributivo dell’assegno e, quindi, un taglio della pensione permanente. Fino al compimento dei 67 anni, comunque, la pensione non potrà superare 4 volte quella minima (circa 2.400 euro lordi mensili) e, infine, prima di ricevere l’assegno bisogna attendere fino a 9 mesi per la finestra mobile. Discorso simile per Opzione donna, il prepensionamento per le lavoratrici (l’età è salita a 61 anni) con ricalcolo contributivo dell’assegno, che di fatto è stata riservata solo a poche categorie (disabili, care giver, lavori usuranti).

INPS sempre più vicino a istituzioni e parti sociali

LE DECISIONI

Confermare queste eccezioni, con tutti questi paletti, non avrebbe grossi impatti. Ma di fatto nessuno sembra più chiederlo. Nemmeno la Lega che invece ha lanciato l’idea di una Quota 41 light, una uscita generalizzata con 41 anni di contributi ma con il ricalcolo contributivo della pensione (dunque accettando un assegno più basso). Si farà? Difficile. E la ragione appare chiara per i motivi chiariti in premessa. Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, al Meeting di Rimini ha spiegato come nei prossimi 15 anni l’Italia perderà per la denatalità 5,5 milioni di lavoratori. Per far quadrare i conti del sistema pensionistico la Ragioneria generale dello Stato, per la prima volta, ha alzato l’età lavorativa da 15-64 anni a 15-69 anni, aggiungendo così nei prossimi 15 anni 4 milioni di lavoratori. Più o meno quelli che Panetta dice si perderanno. Ma il presupposto della tenuta del sistema previdenziale è che, nel tempo, l’età di uscita salga. Strade e autostrade per i prepensionamenti, ce ne saranno poche.

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