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La plastica non è l’unico inquinante del Pianeta; i dati confermano che anche il settore tessile contribuisce in modo significativo all’inquinamento, a partire dalla fase di produzione che richiede grandi quantità di acqua, l’uso intensivo di terreni per la coltivazione di cotone e fibre, oltre all’impiego di sostanze chimiche.

Alcune stime indicano che per fabbricare una maglietta di cotone siano necessari 2.700 litri di acqua. Proprio per questo motivo, nel 2020, il settore tessile è stato la terza causa di degrado delle risorse idriche e dell’utilizzo del suolo. Ad aggravare ulteriormente la situazione vi è anche la fast fashion: essa consente di avere disponibilità costante di nuovi capi a prezzi notevolmente bassi.


Questo ha portato ad un innalzamento della domanda di indumenti, anche se vengono utilizzati e poi scartati quasi subito. In aggiunta, l’Europa è tra i Paesi con una raccolta dei rifiuti tessili molto bassa, anche se in realtà è quella che ne produce di più. La mal gestione del sistema di raccolta dei rifiuti tessili ha generato gravi conseguenze sull’ambiente, basti pensare alla gigantesca discarica a cielo aperto di Atacama, in Cile, che conta tonnellate di indumenti.

Molti prodotti tessili contengono fibre sintetiche derivate dalla plastica, ciò significa che possono impiegare centinaia di anni prima di potersi decomporre in modo naturale. Nel frattempo, però, rilasciano nel suolo sostanze inquinanti e, se bruciati, liberano fumi tossici nell’ambiente. Per far fronte a questa problematica è necessario implementare la raccolta di questa tipologia di rifiuti e riciclarli nel modo corretto.

I DATI IN ITALIA



Come anticipato, l’Europa è il continente che produce la maggior quantità di prodotti tessili, ma la raccolta dei rifiuti è tra le più basse. In Italia, rispetto ai 2,7 kg raccolti annualmente per abitante, ne vengono immessi sul mercato 23 kg. Secondo il consorzio Erion Textiles, è necessario migliorare la gestione dei rifiuti (obbligatoria a partire dal 1° gennaio 2025) per rafforzare, di conseguenza, l’economia circolare del settore.

Il settore tessile è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra, ma solo l’1% dei rifiuti tessili del mondo è riciclato correttamente. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di prodotti tessili in UE nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona.

Luca Campadello, Strategic Development & Innovation Manager di Erion, ha sottolineato l’importanza di un’azione congiunta tra produttori e istituzioni. La indica come necessaria per riuscire ad implementare la direttiva europea in modo da organizzare al meglio la filiera del fine vita. Prosegue affermando che i requisiti vanno discussi con il MASE e il MIMIT, così da allinearsi a tutti i consorzi per creare regole univoche e armonizzate nell’interesse dei produttori.

A seguito del trilogo riceveremo le indicazioni definitive dall’Europa, è fondamentale essere presenti ora ai tavoli di lavoro nazionali per impostare insieme al governo quello che sarà il sistema del futuro arrivando a regole condivise.

ECO-CONTRIBUTI



Migliorare il riciclo dei prodotti tessili non è sufficiente, un altro punto centrale è rappresentato dagli eco-contributi per il finanziamento della raccolta dei rifiuti tessili. Lo scopo della normativa europea è responsabilizzare i produttori sull’intero ciclo di vita dei prodotti.

Attraverso una modulazione degli eco-contributi si incentiva la progettazione di prodotti riciclabili e più duraturi. Infine, Erion segnala che in Italia manca ancora una forte governance per quanto riguarda il settore tessile e, in particolare, chiede investimenti nella ricerca e nella trasparenza della tracciabilità dei rifiuti.

 

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