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Commozione in un kibbutz israeliano per il primo anniversario delle stragi di Hamas – ANSA

Quei quaranta tavoli rotondi che occupano più di un terzo dell’Aula Paolo VI in Vaticano rischiano di apparire una piccola oasi artificialmente ritagliata in mezzo ai gravi problemi del mondo: l’atrocità delle guerre, il dramma delle ingiustizie, il flagello delle violenze di ogni sorta. Lì dentro, nella grande sala delle udienze papali, si respira un’atmosfera rarefatta, di preghiera, dialogo e riflessione; là fuori, nelle terre bombardate, nei poveri villaggi sperduti, nelle megalopoli inquinate e indifferenti, si respira invece un’aria pesante, di dolore, sopraffazione e miseria. Queste potrebbero essere le impressioni che sorgono dal confronto tra le notizie di questi confusi giorni: da una parte il mondo vero, con le sue immense sofferenze, contraddizioni e fatiche, e dall’altra un gruppetto scelto di gente incapsulata in una campana di vetro, avulsa dalla realtà.

Non è affatto così. I padri e le madri sinodali non stanno vivendo una storia a parte, ma stanno cercando di offrire il loro contributo alla costruzione della pace. Per rendersene conto, è sufficiente distogliere lo sguardo dai tavoli di legno e puntarlo sulle persone che vi siedono intorno. I sinodali provengono dai cinque continenti, rispecchiando già nei lineamenti dei loro volti l’universalità della Chiesa e la pluralità dei popoli e delle culture. I loro interventi in diverse lingue, le brevi riflessioni e le esperienze che risuonano nei circoli e in aula sono lo specchio fedele delle situazioni che si vivono nel mondo. Lo sguardo evangelico che i sinodali adottano per leggere la realtà, anziché svigorire l’analisi, la rende più penetrante e concreta.

Le guerre, le violenze e le ingiustizia non rimangono là fuori, ma entrano a pieno titolo nei lavori sinodali, muovendo pensieri e proposte di pace, di condivisione ed equità.

Lo ha espresso efficacemente il cardinale Mario Grech aprendo la prima Congregazione generale: «Ci stringiamo alle sorelle e ai fratelli presenti in aula che provengono dalle zone di guerra e dalle nazioni che vedono violate le libertà fondamentali dei popoli. Attraverso la loro voce possiamo ascoltare il grido e il pianto di quelli che soffrono sotto le bombe, soprattutto dei bambini, che respirano questo clima di odio (…). Questa assemblea è per sé stessa una testimonianza credibile! Il fatto che uomini e donne siano convenuti da tutte le parti della terra per ascoltare lo Spirito, ascoltandosi gli uni gli altri, è un segno di contraddizione per il mondo».

Ecco un significato non trascurabile di questa riunione ecclesiale nell’attuale fase storica: ricordarsi come Chiesa e ricordare al mondo che “sinodo” è sinonimo di “pace” e contrario di “guerra”. Fare sinodo è letteralmente “camminare insieme”, una delle metafore della pace. La pace infatti non è immobilismo: sarebbe la pace del cimitero; e non è nemmeno apatia: sarebbe la pace dell’indifferenza. La pace è esattamente un percorso fatto “insieme” da persone diverse, per appartenenze, culture, tradizioni, religioni. Il contrario è la guerra, che mira a rendere impossibile il sentiero della vita agli altri, considerati “estranei” e “nemici”.

Chi ha partecipato in qualche fase all’evento sinodale in questi tre anni – circa venti milioni di persone nel mondo – ha piantato semi di pace, percorrendo sentieri di idee ed esperienze “insieme” ad altri. Una grande rete pacifica, che avvolge impercettibilmente ma realmente il mondo. Una rete che spesso non emerge, perché come si sa il male esplode in superficie e impressiona, mentre il bene preferisce radicarsi in profondità.

Ricordarsi e ricordare – dicevamo – che “sinodo” e “pace” sono sinonimi. Ricordarsi, prima di tutto, cioè rammentare a sé stessi. Guerre, ingiustizie e violenze non rimangono al di fuori della Chiesa ma purtroppo si infiltrano al suo interno sotto diverse forme. Per questo il ritiro precedente le sessioni sinodali si è concluso con la Veglia penitenziale presieduta da papa Francesco in San Pietro, culminata nella richiesta di perdono a Dio per i peccati, le infedeltà, gli abusi, le controtestimonianze, in cui troppo spesso cadono i cristiani.

Il gesto di digiuno e preghiera, che il 7 ottobre segnerà il ricordo del primo anniversario della strage di ebrei a opera dei terroristi di Hamas e l’inizio della guerra a Gaza, ora allargatasi in Libano, sarà un segno pienamente inserito nell’evento sinodale, per ricordare al mondo che il rispetto della dignità delle persone e l’accoglienza delle diversità sono i pilastri della pace.



 

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