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Il sistema e i principi del diritto della crisi dell’impresa #finsubito prestito immediato


Come già enunciato, le procedure concorsuali realizzano in concreto la garanzia patrimoniale.
In tale cornice assume un particolare rilievo il modo attraverso il quale tale garanzia viene realizzata perché ciò impatta sulle posizioni giuridiche soggettive e sui relativi diritti del debitore, dei creditori e dei terzi. Diviene, allora, centrale l’analisi del tema della tutela dei diritti a vario titolo incisi o soltanto coinvolti nelle procedure concorsuali.
La comprensione del fenomeno della tutela dei diritti nelle procedure concorsuali presuppone la pre-cognizione del sistema di tutela dei diritti nel nostro ordinamento e ciò in funzione di verificare quanto dei principi generali possa essere espiantato nel sistema delle procedure concorsuali.
Orbene, nel guardare al fenomeno nella sua generalità, è facile avvedersi che è il Libro VI del codice civile che è dedicato alla tutela dei diritti. La tutela dei diritti, affermati nei Libri I-V (e naturalmente in tutte le leggi che disciplinano diritti), è affidata a una serie di istituti che attengono, per comune sentire, al diritto sostanziale: la trascrizione o l’ipoteca sono strumenti volti a conservare a chi vanti un diritto una certa tutela e tuttavia la parte che se ne avvale fa ricorso ad atti di propria iniziativa, senza scomodare l’autorità giudiziaria. Nell’ambito della garanzia patrimoniale è evidente che un peso importante è assunto dall’ipoteca e dal pegno.
In parte diverso è il discorso che pertiene alle prove: sono strumenti di tutela del diritto e per quanto possano formarsi fuori dal processo hanno un’evidente vocazione strumentale.
Se in relazione a un certo diritto non sorge una lite, la prova che sia stata raccolta sull’esistenza di quel diritto non assumerà mai rilievo, come prova, potendo valere ad altri fini (è questo il caso dell’atto scritto ad substantiam).
Il legislatore del 1942, diversamente dal suo predecessore, ha inteso completare la disciplina della tutela dei diritti inserendo anche una serie di disposizioni che costituiscono quello che è stato definito il ponte fra diritto sostanziale e processo (secondo la Relazione al Re al codice civile, n. 1184). Alcune di queste disposizioni (artt. 2911-2933 c.c.) pur se relative al processo esecutivo (e replicate in quello concorsuale) presentano una chiara matrice di diritto sostanziale.
Altre disposizioni, invece, anche se connotate da significativi rilievi sul piano del diritto sostanziale, assumono una vocazione processuale in quanto stabiliscono cosa può accadere quando attorno a un diritto sorge una lite. Chi assume di essere titolare di un certo diritto e ne lamenta una lesione all’esercizio o al godimento può reagire domandandone tutela secondo le norme di cui agli artt. 2907-2910 c.c.
L’inserzione nel codice civile di alcuni principi fondamentali del processo si spiega sia perché si voleva congiungere il diritto soggettivo con la sua tutela nel caso di una crisi di cooperazione tra le parti, sia perché, in verità, le disposizioni di cui agli artt. 2908 e 2909 c.c. sono orchestrate in modo tale da offrire una disciplina di raccordo degli effetti della decisione del giudice con la conseguenza che, al fondo, sono norme anche di diritto sostanziale: se da un lato stabiliscono cosa può fare il giudice, dall’altro regolano anche gli effetti dell’intervento del giudice sui rapporti sostanziali.
La norma di apertura del Titolo IV (art. 2907 c.c.) è, invece, differente. La regola affermata «alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria» è molto netta.
Orbene, esistono strumenti di tutela di un diritto che possono formarsi spontaneamente per volontà delle parti, come accade per l’ipoteca. Ma vi sono anche strumenti di tutela di un diritto che si possono realizzare quando il diritto è già sorto e si è già manifestata una crisi di cooperazione: pensiamo all’esercizio del diritto di ritenzione o alle forme di autotutela negoziale previste in materia contrattuale negli artt. 1460 e 1461.
Sennonché, al di fuori di queste ipotesi tipiche, previste in funzione di rafforzare la posizione di una parte, quando ci trova di fronte alla crisi di cooperazione, alla molestia o alla lesione di un diritto, per stabilire se il diritto esista e sia stato molestato o violato occorre rivolgersi al giudice. Soltanto un giudice può decidere sul diritto, tanto è vero che l’ordinamento ripudia forme di autotutela che siano invasive della posizione altrui.
Se è stato stipulato un contratto di mutuo e il mutuatario non adempie all’obbligazione di restituzione della somma, il mutuante non può recarsi nei luoghi del debitore e sottrarre il denaro (che pure gli spetti) ma deve rivolgersi al giudice.
Dalla legge sgorgano i diritti soggettivi; la loro attuazione, però, non è affidata solo alla legge ma è necessario l’intervento del giudice. A questo punto occorre essere più precisi e affermare che, quando si discute di diritti soggettivi e status, per «giudice» deve intendersi l’autorità giudiziaria.
In sostanza la prima parte dell’art. 2907 c.c. introduce una riserva di giurisdizione (il principio di statualità della giurisdizione a dimostrazione del fatto che il diritto processuale civile, pur se riferito a rapporti privati, è catalogato come una disciplina pubblicistica) nel senso che solo organi che esercitano attività giurisdizionali possono decidere le controversie che riguardano un diritto soggettivo, pur con qualche precisazione dovuta ad esempio alla giustizia arbitrale (art. 824-bis c.p.c.).
Dall’ampiezza della formula stilizzata nell’art. 2907 c.c., si desume che il nostro sistema non prevede più modelli di azioni tipiche come nel diritto romano, ma un solo modello di azione – un’azione neutra – che sarà poi declinato diversamente in relazione al tipo di diritto soggettivo o di situazione sostanziale. Quando si parla di un solo modello di azione si vuole avere riguardo alle c.d. «azioni dichiarative» e cioè a quelle azioni con le quali una parte si rivolge al giudice perché questi accerti se il diritto soggettivo (o la situazione sostanziale o lo status) esiste o non esiste. Le azioni dichiarative si esprimono sempre con un accertamento, al quale possono seguire ulteriori pronunce quando il solo effetto dichiarativo non offra la tutela richiesta. Si discute, quindi, di azioni di accertamento, di condanna e costitutive. Ma in ogni caso ci si pone sempre nella cornice della tutela dichiarativa e dell’azione di cognizione, il che peraltro non esclude che vi sono altre forme di tutela giurisdizionale, come la tutela cautelare (quando occorre dare alla parte una tutela provvisoria ma immediata per evitare il danno da infruttuosità o da ritardo), la tutela esecutiva (quando occorre dare alla parte la possibilità di ottenere coattivamente e cioè contro la volontà dell’obbligato il bene della vita cui ha diritto), e la tutela sommaria (quando con forme procedimentali diverse che possono articolarsi secondo modelli molto differenziati, si offre alla parte la possibilità di ottenere una tutela rapida, ontologicamente provvisoria, ma anche passibile di stabilità).
In linea di massima il giudice si occupa di diritti soggettivi e quindi investiga sui fatti sol perché dall’accertamento di un fatto potrà dipendere la nascita di un diritto. Talora, ma solo nei casi previsti per legge, il giudice conosce direttamente ed esclusivamente il fatto, senza che ad esso siano ricollegati diritti (si pensi al giudizio per querela di falso che ha per oggetto la falsità di un documento in funzione di escluderlo quale mezzo di prova).
In ogni caso, però, la tutela giurisdizionale non è data (e cioè a essa non si può far ricorso) quando non vi sia in chi la richiede uno specifico interesse. Infatti, per agire in giudizio occorre avervi interesse (art. 100 c.p.c.). Quando una parte che adisce il giudice chiede oltre all’accertamento sul diritto ulteriori provvedimenti (si pensi alle azioni di condanna e costitutive) è evidente in che cosa si sostanzi l’interesse ad agire: invece, quando l’azione è di accertamento mero è necessario che la parte dimostri di avere un interesse alla pronuncia del giudice e questo interesse presuppone che attorno a quel diritto sia sorta contestazione sulla sua titolarità.
L’incipit dell’art. 2907 c.c. può allora essere racchiuso nel broccardo ubi jus ibi remedium per significare che le quante volte si assuma esistere un diritto vi deve essere anche la possibilità di chiedere e ottenerne tutela.
In questa prospettiva la pur succinta formula che compare in tale disposizione sottintende altri principi fondamentali del nostro sistema processuale. Il presidio della tutela giurisdizionale non è offerto per dare una risposta purchessia, ma è mirato ad attribuire alla parte che si rivolge al giudice una decisione di merito, ovverosia una decisione con la quale si prende posizione sull’esistenza o inesistenza del diritto vantato; questa decisione deve poi avere uno spettro tale da offrire alla parte, qualora abbia ragione, tutto e proprio tutto ciò che le spetta.
Nelle normali relazioni fra due o più parti, sia che ci si trovi in una situazione di fisiologico sviluppo del rapporto, sia che invece ci si trovi in un contesto patologico di crisi di cooperazione, ciascuna parte sa di poter disporre di svariati rimedi sostanziali e processuali: taluni esprimono forme di autotutela, talché il soggetto che assume di essere titolare di un certo diritto soggettivo (o status) può perseguire un certo risultato senza bisogno di un intervento autoritativo esterno, ma nella maggior parte dei casi quel soggetto per ricevere tutela dovrà rivolgersi all’autorità giudiziaria chiedendo protezione per evitare che il diritto sia leso o per ripristinare la già avvenuta lesione del diritto.
In tutte queste circostanze sono invocabili i rimedi del diritto civile e del diritto processuale civile; il conflitto può essere sanato, composto o deciso prendendo in considerazione le sole posizioni giuridiche soggettive di cui sono titolari (o assumono di esserlo) le parti del conflitto. Può ben darsi che la risoluzione di quella lite possa produrre effetti riflessi sui terzi, ma questi terzi non sono coinvolti almeno sino a quando non vogliono esserlo.
Accade, però, che non sempre le relazioni conflittuali fra due o più parti possano trovare una regolamentazione senza che altri terzi ne siano, necessariamente, coinvolti. In tali evenienze gli strumenti del diritto civile e del diritto processuale civile si rivelano insufficienti ed occorre che altre regole disciplinari si giustappongano. Questo si verifica quando la tutela di un diritto intercetta altre posizioni giuridiche rilevanti, o perché sono coinvolti interessi superindividuali o perché, comunque, si ritiene che il diritto del singolo vada calibrato in relazione a diritti di altri singoli che meritano pari tutela.
Nell’ambito del diritto civile esistono, quindi, diversi fenomeni rispetto ai quali si forma una rete di rapporti e sorge la necessità di un coinvolgimento di più diritti. Si pensi ai diritti che sono sorti nel contesto di un rapporto obbligatorio formatosi fra un cittadino e una associazione riconosciuta (o una fondazione) e alla necessità che, nel caso di inadempimento dell’obbligazione dovuta dall’associazione e alla sua incapacità patrimoniale, segua un provvedimento dell’autorità amministrativa di liquidazione e poi di devoluzione delle risorse; si pensi al caso dell’eredità giacente.
Orbene, la presenza di interessi superindividuali è presunta dall’ordinamento quando un’attività economica viene esercitata in forma di impresa. Poiché la vocazione dell’impresa è quella di stare sul mercato, è naturale che attorno all’impresa si coagulino più soggetti e più rapporti giuridici, dimodoché quando sorge un conflitto è razionale che questo sia composto tenendo conto dei diritti e degli interessi anche di altri soggetti. Le regole del diritto civile e del diritto processuale civile possono rivelarsi non più sufficienti e diviene, quindi, necessario misurarsi con altre regole disciplinari.
Quando il debitore è un imprenditore commerciale a quella forma di tutela se ne aggiunge un’altra, in quanto entrano in campo i procedimenti di attuazione concorsuale della garanzia patrimoniale. Ed allora, la tutela dei diritti del singolo va calibrata in relazione alla tutela di altri diritti di cui sono portatori altri soggetti. Questo accade quando il soggetto-debitore è un’impresa che si trova in una condizione economica, patrimoniale o finanziaria di crisi o di insolvenza. Al cospetto della crisi di un’impresa, ai tipici rimedi di diritto comune, si sommano quelli propri del diritto dell’impresa e cioè del diritto commerciale che si sviluppano secondo metodiche procedimentali che, di solito, assumono contorni del tutto particolari in quanto il procedimento è naturalmente destinato ad accogliere le posizioni di terzi coinvolti.
Pertanto, la necessità di ponderare ed equilibrare più interessi omogenei o più interessi eterogenei rende indispensabile coordinare i molteplici diritti coinvolti. Questo coordinamento viene realizzato su due piani diversi.
Da una parte, sul piano sostanziale, il diritto di ciascuno si modifica in quanto quel singolo diritto va tutelato nel rispetto di alcune (diverse) regole che mirano a comporre i più interessi; basti pensare alla sospensione del corso degli interessi sui crediti chirografari (artt. 154 CCII).
Dall’altra parte, la tutela dei diritti nell’ambito di procedimenti concorsuali esige che il principio generale, sopra enunciato, della neutralità del mezzo di tutela sfumi, dal momento che il diritto non può essere affidato ad un modello di tutela generico ma deve essere fatto valere all’interno di procedimenti tipici che spesso deviano, e non poco, dal sistema del diritto processuale civile.
Questo è giustificato, proprio, dalla complessità degli interessi coinvolti che impone la predisposizione di procedimenti ad hoc, idonei a contenere, quanto meno nelle potenzialità che sono offerte alle parti ma spesso da queste non sfruttate, gli spazi per la tutela di posizioni differenziate e talora confliggenti.
In linea di massima nei procedimenti endo-concorsuali si ritrovano frammenti della tutela di accertamento e, più raramente, della tutela costitutiva, mentre appare decisamente marginale, se non del tutto evanescente, la tutela di condanna e ciò in quanto è coessenziale alla concorsualità della procedura che non si creino posizioni di privilegio processuale.
Questi principi nati nel sistema dell’impresa sono esportati, con non irrilevanti differenze, nell’ambito dei rapporti patologici che riguardano anche il c.d. “debitore civile”.



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