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Meloni fa la guerra ai bonus, dopo averne intascati per 50mila euro #finsubito prestito immediato


Più volte Giorgia Meloni è stata esplicita: “È finita la stagione dei bonus”. Alla disperata ricerca di risorse per finanziare la prossima legge di Bilancio, la premier, affiancata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti custode dei conti pubblici, ha individuato il serbatoio da cui attingere a piene mani: le tax expenditures. Si tratta di quell’immenso bacino fiscale di esclusioni, esenzioni, deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, differimenti e aliquote preferenziali. Ci sono le spese dei cittadini per le cure mediche, per gli interessi passivi sui mutui prima casa, sui costi di intermediazione immobiliare, per lavoro dipendente e tante altre voci meno conosciute che, nel complesso, portano il conteggio finale a oltre 620 agevolazioni. Misure che da un lato hanno un valore sociale più o meno spiccato, dall’altro costano oltre 105 miliardi. Meloni, replicando alle voci circolate in queste ore, in parte innescate dallo stesso Giorgetti che ha parlato di “sacrifici per tutti”, ha affermato in video che “la cultura politica di questo governo è quella di ridurre le tasse, non quella di gravare ulteriormente sui cittadini”. Certo è che l’intenzione è “non disperdere risorse in bonus inutili”. La premier ha varie volte attaccato le agevolazioni : “I bonus edilizi messi in capo da Conte sono costati ad oggi circa 140 miliardi, mediamente una legge di bilancio vale 20, 30, 35 miliardi, questo per capire l’ordine: da 4 a 6 leggi finanziarie, qualcosa deve non aver funzionato”, disse a Porta a Porta a settembre. Per questo, concetto ribadito un  mese fa al Forum di Cernobbio, “la stagione dei bonus e risorse buttate dalla finestra è finita”.

Ma una premessa è d’obbligo: dire con nettezza di non aumentare le imposte e poi ridurre le detrazioni per famiglie e imprese è una gigantesca contraddizione in termini. Meglio: ridurre il risparmio fiscale vuol dire aumentare le tasse. Le tax expenditures sono minori entrate per le casse dello Stato, una forma di spesa indiretta. Sforbiciarle però non sarà affatto semplice, e tutti i governi in passato hanno miseramente fallito. Secondo uno studio del 2023 dei tecnici del Senato condotto sulle spese fiscali dell’anno prima (grossomodo le stesse ora in vigore), sulle 626 agevolazioni erariali rilevate per quasi il 28% non è stato possibile indicare valori o perché ritenute agevolazioni non quantificabili (il 23,2%) o con effetti di trascurabile entità (il 4,5%). Le spese quantificate sono 453 e rappresentano il 72,4% del totale. Ma di queste solo per il 30%, ovvero per 136, sono disponibili i dati sul numero dei beneficiari di ciascuna misura. Analizzando la distribuzione per classi emerge dunque che quasi il 60%, cioè 80 misure, riguarda insiemi con meno di 30mila soggetti interessati.

Una cosa è certa, e soprattutto facilmente individuabile dal fisco: la regina incontrastata del sistema delle agevolazioni è la casa. In base ai dati enucleati dal Senato il 41,8% delle risorse assorbite dalle tax expenditures riguarda proprio casa e assetto urbanistico, che godono complessivamente di 34,32 miliardi. Seguono competitività e sviluppo delle imprese, con il 17,7%, pari a 14,50 miliardi. Diritti sociali e politiche sociali e famiglie hanno un impatto pari a circa il 9,2%, ovvero 7,53 miliardi. Alle politiche per il lavoro è assegnato circa l’8,7 delle risorse, cioè 7,17 miliardi.

Le agevolazioni sulla casa e in particolare sui lavori di ristrutturazione saranno certamente interessate da una “rimodulazione”, per usare un vocabolario caro al Governo volto a edulcorare l’aumento indiretto della tassazione. In vari modi. L’ultimo lo ha comunicato Giorgetti in audizione sul Piano strutturale di Bilancio in Parlamento: tra le azioni previste dal Psb per “rendere il sistema fiscale più efficiente”, c’è anche tra le altre cose la revisione dei “valori catastali per quegli immobili che hanno conseguito un miglioramento strutturale, a seguito di interventi di riqualificazione finanziati in tutto o in parte da fondi pubblici”. Traduzione: chi ha beneficiato dei vari bonus edilizi vedrà salire il valore catastale del proprio immobile. Questo impatterà sulle seconde case, visto che l’imposta Imu – da cui la prima casa è esente – si calcola partendo dalla rendita catastale dell’abitazione moltiplicata per alcuni coefficienti. E fin qui, la misura può ritenersi anche socialmente accettabile. Il problema è che colpirà anche le prime case perché l’aumento della rendita dell’abitazione di residenza inciderà sull’Isee, l’indicatore che consente l’accesso a varie prestazioni sociali se al di sotto di determinate soglie, farà salire l’imposta di registro (per le compravendite) e di successione (eredità) e influirà anche sul reddito lordo ai fini Irpef.

Anche a causa del lascito reputazionale del Superbonus, il Governo pare deciso a intervenire con la mano pesante sulle agevolazioni più utilizzate da anni dai contribuenti, anche se preesistenti la tanto contestata agevolazione al 110%. Come ad esempio il Bonus ristrutturazioni e manutenzione straordinaria, il bonus per il risparmio energetico (ecobonus), il bonus per l’acquisto di arredi negli immobili in ristrutturazione. Quest’ultimo, dato dallo Stato a chi acquista mobili ed elettrodomestici in un appartamento in ristrutturazione con pratica edilizia comunicata al Comune, prevedeva una detrazione fiscale del 50% della spesa, ripartita in dieci anni, su un massimale di 10mila euro nel 2022, ottomila nel 2023, e cinque mila nel 2024. Qui insomma il Governo è già intervenuto con una drastica sforbiciata, rendendo l’agevolazione quasi irrilevante se si pensa che una giovane coppia, all’acquisto di una prima casa da rimettere a nuovo, vedrà tutto il suo bonus mobili assorbito dall’acquisto della sola cucina, per cui riceverà un massimo di 2500 euro in dieci anni. Per quanto riguarda l’ecobonus, che prevedeva diverse aliquota dal 50% all’85% in base al tipo di intervento (infissi, coibentazione, caldaie, pompe di calore eccetera) ancora non è chiaro come evolverà, ma il Governo ha fatto sapere di voler intervenire con una rimodulazione salvaguardando le abitazione soggette alla prima scadenza della Direttiva Ue Case Green, fermo restando il contesto di una generale riduzione della spesa da parte dello Stato. 

Di certo l’intervento più duro sarà sulle ristrutturazioni. Se fino a quest’anno si poteva recuperare in dieci rate annuali la metà della spesa per i lavori fino a un massimo di 96mila euro, dal prossimo l’aliquota calerà al 36% e il massimale di spesa scenderà a 48mila euro. In pratica sul totale dei lavori di ristrutturazione, il contribuente potrà recuperare in dieci anni un massimo di 17mila euro, contro i 48mila attuali. Obiezione: perché lo Stato deve accollarsi queste spese? Il principio di tali agevolazioni non è di tipo assistenziale ma di pura convenienza fiscale, non solo per il cittadino ma soprattutto per lo Stato: il bonus casa è stato introdotto per la prima volta alla fine degli anni ’90 dal primo Governo Prodi, sempre riconfermato e migliorato negli anni, con l’intento di contrastare il “nero” largamente diffuso nel settore edilizio. Far emergere queste spese dei cittadini ha permesso di incrementare enormemente il gettito Iva, Irpef e Ires. Rendere questi bonus meno appetibili reca con sé il rischio di indurre clienti e imprese a praticare il nero, sottraendo redditi e valore aggiunto all’occhio del Fisco.

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Un tema che peraltro la premier Meloni conosce bene, dal momento nel corso dell’ultimo decennio ha incassato una discreta somma dai bonus legati alla ristrutturazione del suo immobile. I dati si possono facilmente ricavare dalle dichiarazioni patrimoniali depositate presso la Camera dei deputati. Nella dichiarazione 2024 (su redditi 2023), si legge che la premier ha beneficiato di una detrazione di 4579 euro per interventi di ristrutturazione e recupero del patrimonio edilizio. Ha poi beneficiato di una detrazione di 499 euro per gli interventi di risparmio energetico (al 65%), oltre a 781 euro per altre detrazioni al 50% come l’arredo. Cifre pressoché identiche sono riportate poi nella dichiarazione 2023 del modello Rp. L’anno prima, invece, il dettaglio del 730 di Giorgia Meloni riporta una detrazione di 6216 euro per recupero del patrimonio edilizio, 689 euro per arredo immobili ristrutturati, e 499 euro per ecobonus. Numeri uguali nella dichiarazione 2021, mentre nel 2020 il bonus casa è lievemente sceso a 6060 euro. L’anno prima, la detrazione per i lavori è ammontata a 5551 euro, per mobili ed elettrodomestici di 500 euro e di 499 per il risparmio energetico, così come nel 2018. Dal 2013 al 2017, invece, Meloni ha beneficiato di una singola detrazione di 1650 euro come bonus casa per ognuno dei cinque anni. 

A conti fatti tra il 2013 e il 2024, sommando le detrazioni liquidate dal Fisco a Giorgia Meloni tra bonus casa, bonus mobili ed ecobonus, l’attuale premier ha ricevuto dallo Stato la modica cifra di 51mila euro per i lavori del suo immobile. Quanto a Giorgetti, invece, a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2015 (quindi a valere sull’anno fiscale 2014), ha iniziato a beneficiare di una detrazione per risparmio energetico pari a 2900 euro. Quest’anno è stata quindi riconosciuta l’ultima delle dieci rate annuali di ecobonus, che ha portato il beneficio fiscale complessivo per il ministro dell’Economia a 29mila euro. Non è poco se si pensa che il valore di cui godono i beneficiari delle tax expenditures (tutte, non solo quelle per la casa) che il Governo vorrebbe colpire può variare molto, e sostanzialmente oscilla tra i 15.139 euro in media pro capite per le misure che toccano fino a mille soggetti, e 157 euro in media a testa per le agevolazioni che toccano i dieci milioni di beneficiari. 



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