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Ingiustizie e clima, due crisi che si alimentano #finsubito prestito immediato


Clima e ingiustizia sono due crisi strettamente connesse, i cui legami vengono spesso trascurati o rimossi.  Non si affronta la prima senza ridurre gli impatti della seconda. “Il cambiamento climatico è una questione di giustizia” afferma l’UNDP, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (United Nations Development Programme). Speriamo che se ne ricordino i Paesi riuniti in Azerbaijan, dal dall’11 al 22 novembre, per la prossima Cop29 sul clima.

L’Agenda 2030 dell’ONU riconosce esplicitamente il legame tra cambiamenti climatici, povertà e disuguaglianze: gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) collegano il contrasto alla povertà (Obiettivo 1) e la lotta contro il cambiamento climatico (Obiettivo 13).

Il perché di questo legame lo ha sintetizzato António Guterres, segretario generale dell’ONU, (The Heat Is On – Emissions Gap Report 2021): “I paesi in via di sviluppo e le comunità vulnerabili, che hanno contribuito meno alla crisi climatica, sono i più colpiti dai suoi effetti devastanti. Affrontare il cambiamento climatico significa affrontare anche le disuguaglianze globali”.

Sono diversi, dunque, i profili che legano le due crisi. Vediamoli.

Leggi anche: La Cop29 non promette nulla di buono (e neppure l’Italia)

Clima e giustizia perché: le cause

Partiamo dalle cause. Non tutti siamo responsabili allo stesso modo della crisi climatica. Una recente analisi realizzata dal Laboratoire sur les inégalités mondiales (WORLD INEQUALITY REPORT 2022) e coordinata da Lucas Chancel, Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, mostra che le persone più ricche sono responsabili di una quota sproporzionata delle emissioni globali di carbonio, con l’10% più ricco del pianete che contribuisce a quasi la metà (48%) delle emissioni totali, mentre il 50% più povero ne produce il 12% (2019).

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Fonte: WORLD INEQUALITY REPORT 2022

I singoli individui che appartenevano a quell’10% economicamente più fortunato (i big polluters) sono responsabili mediamente dell’emissione di 73 tonnellate di CO2 per persona, contro 1 sola tonnellata a testa del 50% più povero della popolazione (la media mondiale è di 6,5 tonnellate a testa l’anno).

Questa disuguaglianza nelle emissioni procapite è evidente anche a livello regionale. In Europa, il top 10% degli emettitori contribuisce con 29,2 tonnellate di CO2 all’anno, mentre la metà più povera emette solo 5,1 tonnellate per persona.

Per capire meglio questi dati, per valutarne la portata reale, i ricercatori del Laboratoire sur les inégalités mondiales hanno confrontato gli attuali livelli di emissioni con quello (“budget pro capite sostenibile”) che sarebbe richiesto per rimanere al di sotto di un riscaldamento globale medio di 1,5°C e 2°C. Il budget pro capite sostenibile compatibile con il limite di temperatura di +2°C è di 3,4 tonnellate per persona all’anno da qui al 2050. “Questo valore è circa la metà dell’attuale media globale”. Il budget pro capite sostenibile compatibile con il limite di 1,5°C è invece di 1,1 tonnellate, “circa sei volte meno dell’attuale media globale”.

clima disuguaglianze
Fonte: WORLD INEQUALITY REPORT 2022

La responsabilità climatica cambia ovviamente anche tra le nazioni: non tutte emettono e hanno emesso allo stesso modo. Dei 2.450 miliardi di tonnellate di carbonio rilasciati dal 1850, il Nord America è responsabile per il 27%, l’Europa per il 22%, la Cina per l’11%, l’Asia meridionale e sudorientale per il 9%, la Russia e l’Asia centrale per il 9%, l’Asia orientale (compreso il Giappone) per il 6%, l’America Latina per il 6%, l’area MENA (Middle East and North Africa) per il 6% e l’Africa subsahariana per il 4%.

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Fonte: WORLD INEQUALITY REPORT 2022

“Le disuguaglianze nelle emissioni medie di carbonio tra le regioni sono molto simili alle disuguaglianze nei redditi medi tra le regioni”, spiega il documento.

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Fonte: WORLD INEQUALITY REPORT 2022

Leggi anche lo SPECIALE | Migranti climatici

Clima e giustizia perché: le conseguenze

Come ha ricordato Guterres, non solo non siamo tutti responsabili allo stesso modo dell’emergenza climatica, ma spesso a pagare le conseguenze del surriscaldamento globale sono i più “climaticamente innocenti”, i meno responsabili delle emissioni di gas che stanno stravolgendo il clima sul pianeta.

“Il cambiamento climatico – si legge nell’ Agenda 2030 dell’ONU – colpisce in maniera sproporzionata i poveri e i più vulnerabili, minando i progressi verso l’eliminazione della povertà e l’uguaglianza”

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L’UNDP ci spiega perché, identificando tre diverse manifestazioni di queste disuguaglianze:

Disuguaglianze socioeconomiche tra i Paesi. “Gli impatti dei cambiamenti climatici e le risorse necessarie per affrontarli sono distribuiti in modo diseguale nel mondo. I Paesi a basso reddito e le popolazioni vulnerabili all’interno di questi Paesi sono più suscettibili alle perdite e ai danni indotti dal clima”;

Disuguaglianze strutturali all’interno dei Paesi. Anche all’interno di uno stesso Paese gli impatti dei cambiamenti climatici possono essere avvertiti in modo disomogeneo “a causa delle disuguaglianze strutturali basate su razza, etnia, genere e status socioeconomico”. Le donne, soprattutto in alcuni contesti sociali, sono in genere più gravemente colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici, perché hanno accesso a minori risorse per adattarsi e far fronte a cambiamenti repentini. Le persone con disabilità sono maggiormente esposte agli impatti negativi dei cambiamenti climatici, comprese le minacce alla loro salute, alla sicurezza alimentare, all’accesso all’acqua, all’energia e ai servizi igienici e ai mezzi di sussistenza, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Le popolazioni indigene, che proteggono l’80% della biodiversità mondiale, stanno affrontando minacce e rischi crescenti per le loro vite, i loro mezzi di sussistenza e le loro conoscenze tradizionali;

Disuguaglianza intergenerazionale. I bambini e i giovani di oggi, sottolinea l’UNDP, non hanno certamente contribuito alla crisi climatica in modo significativo, “ma sopporteranno tutta la forza degli impatti del cambiamento climatico man mano che andranno avanti nella vita. Poiché i loro diritti umani sono minacciati dalle decisioni delle generazioni precedenti, i loro diritti devono essere al centro di tutti i processi decisionali e delle azioni in materia di clima”.

Come un cane che si morde la coda, tutte queste diverse forme di disparità diventeranno più marcate a causa del cambiamento climatico. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo nel rapporto The Next Frontier: Human Development and the Anthropocene (2020) lo dice chiaramente: “Il cambiamento climatico minaccia di amplificare le disuguaglianze, poiché coloro che sono già vulnerabili rischiano di essere colpiti più duramente”. Ci dice Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia: “I Paesi più poveri, indebitati e sfruttati sono anche ì più vulnerabili ai cambiamenti climatici e a shock economici e di conseguenza sono quelli più esposti alla fame”.

Leggi anche: Tassare i ricchi per contrastare crisi climatica e disuguaglianze. La petizione di Oxfam

Dall’IPCC al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici

Ma non sono solo l’ONU e il Laboratoire sur les inégalités mondiales a mettere in evidenza queste disparità e a reclamare una giustizia climatica che finalmente vi ponga rimedio. Lo hanno fatto gli scienziati del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) nei loro rapporti, lo ha fatto Oxfam International (Extreme Carbon Inequality: “Nonostante la loro minore responsabilità per il cambiamento climatico, le persone che vivono in condizioni di povertà sono le più colpite dagli impatti climatici come inondazioni, siccità e uragani. Queste comunità hanno meno risorse per proteggersi e per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico”), e poi la Banca Mondiale (Climate Change and Poverty: A Global Perspective) e ancora diverse analisi come “The 2020 Report of The Lancet Countdown on Health and Climate Change” che monitora l’impatto del cambiamento climatico sulla salute globale, evidenziando che i danni alla salute sono più pronunciati nelle comunità povere.

Più di recente, sul tema è tornato uno studio guidato dal CMCC (Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e pubblicato su Nature Climate Change. Nella ricerca vengono esaminati gli impatti delle politiche climatiche e dei rischi legati al clima e fornite “prove solide che le politiche climatiche allineate all’Accordo di Parigi possono mitigare le disuguaglianze a lungo termine, affrontando al contempo il cambiamento climatico”.

La necessità di agire

Contro queste ingiustizie si deve agire. “Agire con radicalità e urgenza per ridurre drasticamente le emissioni e così arginare l’impazzare degli impatti climatici si tradurrebbe nella rimozione (o meglio nella mitigazione) di pesanti fattori di violazione dei diritti umani, che finiscono con il gravare in maniera più pesante proprio sulle comunità già svantaggiate”, ricorda Marica Di Pierri, portavoce di A Sud.

“Già nel 2019 – prosegue – il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, Philip Alston, parlava di ‘apartheid climatico’ per sottolineare il ruolo del cambiamento climatico come fattore di segregazione: senza un’azione climatica ambiziosa, denunciava Alston, gli impatti del riscaldamento globale rischiano di azzerare sessant’anni di progresso nella lotta alla povertà”.

Mentre si cerca di mettere in campo soluzioni che mitighino gli impatti delle inondazioni, delle ondate di calore, della siccità e degli incendi, dobbiamo sempre guardare alla giustizia climatica, che richiede che le responsabilità siano “suddivise in base a chi contribuisce maggiormente al problema, affrontando al contempo le disuguaglianze sistemiche, socioeconomiche e intergenerazionali”, secondo una definizione dell’UNDP. È il principio, tanto declamato quando rimosso, del “chi inquina paga”.

Un discorso, riflette ancora Di Pierri, che “non può essere scisso dall’importanza di recuperare le risorse economiche necessarie allo scopo. Sono molte le istanze che chiedono che anche la fiscalità sia orientata in questo senso: chi ha di più (in particolare i super ricchi che con la loro impronta emissiva sono responsabili di una quantità rilevante di emissioni clima alteranti) destinino un cospicuo gettito di risorse fiscali da impiegare nella mitigazione e nell’adattamento a partire dai paesi e dalle comunità più a rischio. Una fiscalità climatica è dunque un elemento fondamentale per garantire efficacia all’azione di contenimento delle temperature”. Fiscalità ma anche aiuti a chi, pur senza responsabilità, si trova in prima linea: durante la Cop29 che si terrà a Baku il mese prossimo si dovranno finalmente definire le misure per rendere operativo ed efficace il Loss & damage nato per aiutare i Paesi meno industrializzati a ripagare appunto le perdite e i danni subiti. “È cruciale che i Paesi ricchi rispettino le loro promesse di stanziamento degli aiuti necessari ad affrontare le crisi umanitarie e ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici”, sottolinea Petrelli di Oxfam Italia.

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