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La ex Caffaro condannata a risarcire 453 milioni per l’inquinamento a Brescia, Torviscosa (Ud) e Colleferro (Rm) #finsubito prestito immediato


di
Pietro Gorlani

La  Corte di giustizia dell’Unione Europea conferma la sentenza della Corte d’appello di Milano. Ora si attende la Cassazione.  A pagare sarà la multinazionale Usa LivaNova dove è confluita Sorin. La sindaca Castelletti: «Parte di quelle risorse vadano per bonificare i giardini privati»

La Corte di Giustizia Europea il 29 luglio ha confermato la decisione presa nel 2019 dalla Corte d’Appello di Milano  che ha condannato (con sentenza definitiva del 12 novembre 2021) l’ex industria chimica Caffaro  a  pagare 453 milioni di euro allo Stato per danno ambientale per i decenni di veleni versati nei siti di Brescia (a cui andranno 250 milioni), Colleferro (Roma) e Torviscosa (Udine).  Il dispositivo della causa C713/2022  conferma il principio europeo di «chi inquina paga» ed è stato richiesto nel 2022 dalla Corte di Cassazione, alla quale si era rivolta Livanova. I rimborsi veranno emessi solo quando la Cassazione pronuncerà la sentenza definitiva, che ancora non c’è ma che – visto l’indirizzo dell’Europa – non potrà che essere in linea con quanto deciso in secondo grado.

Perché deve pagare la multinazionale LivaNova

A pagare dovrà essere la multinazionale Usa LivaNova che ha sede legale a Londra. La società  è nata nel 2015 dalla fusione di altri due colossi del biomedicale, Cyberonics e Sorin. Ecco, Sorin: era la good company della galassia Snia, dalla quale è stata scorporata nel 2003. Snia-Caffaro nel 2010 fallì non lasciando in cassa nemmeno un euro per le bonifiche ma la Corte d’appello del tribunale civile di Milano nel 2021 ha stabilito un principio fondamentale: se una società, prima della scissione ha tenuto un comportamento illecito (in questo caso l’inquinamento del suolo), rispondono in solido sia la società scissa sia la società beneficiaria. Concetto ribadito dall’Europa. LivaNova non è direttamente responsabile di quei disastri ma Sorin sì. Per questo i magistrati del tribunale civile di Milano Massimo Meroni, Vicenzo Barbuto e Caterina Apostoliti nel 2019 avevano applicato  l’articolo 2504-decies del codice civile, il quale «prevede la responsabilità solidale, per il debito della medesima, di tutte le società beneficiarie della scissione, sia preesistenti che di nuova costituzione». E pensare che i ministeri dell’Ambiente e dell’Economia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2016 si videro rigettare  in primo grado proprio dal tribunale di Milano (dove è avvenuto lo scorporo societario di Sorin) la richiesta danni da 3,43 miliardi. 




















































250 milioni a Brescia, a Udine 117, a Roma 86

Come si è arrivati alla cifra di 453 milioni? Innanzi tutto la richiesta di risarcimento non poteva superare per legge il valore del capitale utilizzato nel 2004 per la nascita di Sorin.  Poi i giudici si sono basati sui conteggi dei consulenti tecnici d’ufficio, che sono partiti dai report di Ispra, delle singole Arpa e (nel caso di Brescia) del progetto di bonifica Aecom che Greenthesis (vincitrice del bando di gara europeo con Nico e Htr) si appresta a realizzare dal 2025 in poi. Il conto più salato riguarda appunto Brescia: 250 milioni di euro; altri 117 milioni sono stati chiesti per Torviscosa e 86 milioni per la valle del Sacco.  Dei 250 milioni destinati a  Brescia 137 milioni sono per la «riparazione primaria» e altri 110 milioni a garanzia della gestione degli impianti di pompaggio e trattamento delle acque sotterranee: un aspetto dirimente questo, visto che la falda si è alzata di 10 metri in un anno e mezzo ed è salita a toccare i veleni.   E pensare che non sono inclusi i danni collaterali alla salute, messi nero su bianco dallo studio Sentieri nel 2019: nel Sin Caffaro l’incidenza di malattie tumorali è del 13% superiore alle città del centro-nord Italia ma non è mai stato stabilito un nesso causa effetto dal valore giuridico. 

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A Brescia soldi anche per i campi inquinati

Tra i danni primari sono previsti anche 15 milioni per risanare  cento ettari di campi dentro il Sin (da via Milano fino ai binari della ferrovia Milano-Venezia)  per interventi di bioremediation (piante che degradano i Pcb). della durata di 60 anni. Altri 26 milioni sono stati chiesti per i 359 ettari di campi da via Labirinto (zona industriale) fino a Capriano del Colle, visto che tramite i fossi i veleni sono arrivati ad oltre 15 chilometri dalla fabbrica cittadina. Si apre anche la partita dei giardini privati: l’ex sindaco Emilio Del Bono aveva chiesto che una parte di quei soldi andassero ai cittadini danneggiati.

Le reazioni della politica. La sindaca: bonifiche per i giardini privati

Non si sono fatte attendere le reazioni della politica bresciana. «Se la Corte di Cassazione confermerà la condanna di LivaNova auspico che la parte di quei soldi che riguarda il Sin Caffaro resti a Brescia, consentendo finalmente di affrontare uno dei nodi ancora da sciogliere, ovvero la bonifica dei terreni privati». Commenta la  sindaca Laura Castelletti in linea con il suo predecessore.  I 250 milioni sono una cifra importante» continua la sindaca, «che non deve restare al Ministero, ma vanno reinvestite sul territorio, attraverso il Commissario Caffaro, per dare le risposte che i residenti delle zone inquinate aspettano da troppo tempo». 
Vero è che lo Stato ha già stanziato per Brescia «quasi 100 milion di euro» ed è possibile – commenta il commissario straordinario Mauro Fasano – che possa decidere di «trattenere» quella cifra girando però sulla città gli altri 150 milioni. 

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15 ottobre 2024 ( modifica il 15 ottobre 2024 | 19:00)



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