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Ucraina e Gaza: sono i due temi sui quali il progetto di conclusioni del Consiglio europeo continua a cambiare prima della pubblicazione della versione definitiva nella mattinata di oggi. In particolare, ancora una volta pesa il veto dell’Ungheria per quanto riguarda le forniture militari a Kiev. E cioè 6.6 miliardi di cui 1.6 sono gli arretrati dovuti dall’European Peace Fund (Epf), e altri 5 miliardi in nuovi aiuti.

A BUDAPEST, spiega una fonte europea, è stata fatta una «proposta molto elegante: rispettiamo la vostra sensibilità sull’Ucraina ma voi non bloccate gli altri Stati membri, esattamente come è stato fatto alla Nato». In questo modo, i contributi ungheresi potranno venire «reindirizzati ad altri paesi, che sceglieremo insieme, sempre attraverso l’Epf: sinora non abbiamo avuto risposta», continua la fonte.

Da un confronto di due bozze di conclusioni, emerge anche un progressivo annacquamento delle richieste sull’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza. In una versione precedente del documento si afferma esplicitamente l’intenzione di «invitare Israele a porre fine alla sua offensiva militare, esprimendo profonda preoccupazione per le conseguenze umanitarie sulla popolazione civile delle operazioni di terra in corso a Rafah». E ancora ad «accogliere con favore l’adozione della risoluzione 2735 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e invitare entrambe le parti ad accettare e attuare pienamente i termini della proposta senza indugio e senza condizioni per un cessate il fuoco immediato a Gaza». Ma secondo le versioni successive della bozza, visionate da Policy Europe, l’appello allo stop delle operazioni militari tout court è prima stato cambiato in una richiesta di fermare l’offensiva nella sola Rafah, e poi è scomparso del tutto.

LA POCA ARMONIA con Budapest emerge inoltre dalle valutazioni sulla Georgia: nella bozza si legge che il Consiglio dovrebbe «esprimere preoccupazione» in merito ai recenti sviluppi nel Paese, e in particolare la «legge sulla trasparenza dell’influenza straniera» – contro la quale è di recente scesa in piazza larga parte della società georgiana – indicando che «la linea d’azione» di Tbilisi «mette in discussione i progressi della Georgia nel suo percorso verso l’Ue». Insieme alla condanna dei crescenti atti di intimidazione, minacce e aggressioni fisiche contro rappresentanti della società civile, leader politici, attivisti civili e giornalisti». Valutazione evidentemente non condivisa dal leader ungherese Viktor Orban, che ieri a margine del Consiglio ha dichiarato che «le cose vanno bene in Georgia. Il percorso per l’adesione all’Ue è ok, il governo georgiano sta facendo bene, l’economia sta migliorando. Penso che sia sulla strada giusta».

A cambiare nelle successive versioni del documento è anche il capitolo sulle «minacce ibride» all’Ue «e ai suoi partner», cioè «l’intimidazione, il sabotaggio, la manipolazione delle informazioni e l’interferenza straniere, la disinformazione, le attività informatiche dannose e la strumentalizzazione dei migranti». Nell’ultima versione del documento circolata ieri, secondo quanto riporta Policy Europe, è stato inserito un esplicito riferimento a Mosca: «La Russia ha intensificato la sua campagna con nuove operazioni attive sul territorio europeo».

LA RUSSIA è naturalmente una delle protagoniste del documento, che condanna l’escalation degli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine, «accoglie con favore» il 14esimo pacchetto di sanzioni e la decisione di destinare «le entrate straordinarie derivanti dai beni russi bloccati a un ulteriore sostegno militare» di Kiev, e conferma che resteranno congelati fino alla fine dell’aggressione di Mosca. Nel progetto di conclusioni anche l’invito a Commissione europea, Alto rappresentante e Consiglio «a portare avanti i lavori al fine di fornire all’Ucraina, insieme ai partner, circa 50 miliardi di euro per sostenere le esigenze militari, di bilancio e di ricostruzione attuali e future dell’Ucraina».
Screzi anche sul finanziamento alla Difesa: Danimarca e Germania si sarebbero opposte all’impiego del termine «colmare» in riferimento alle «lacune critiche» che, secondo il documento, affliggono la «capacità» della difesa comunitaria. Vorrebbero sostituirlo con «affrontare», che non implica un impegno certo all’investimento di denaro.

 

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