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Scrive la Cgil: «L’iscrizione alla Cgil è il presupposto per potersi avvalere dell’assistenza del nostro ufficio vertenze e legale. Al lavoratore si chiede il versamento di un contributo di solidarietà calcolato sulle somme incassate grazie all’intervento del nostro ufficio. Le percentuali applicate differiscono anche in relazione alla data di iscrizione alla Cgil». Ti comunicano il licenziamento, che fai? Chiedi aiuto a un patronato sindacale, o a un ufficio vertenze di un sindacato per cercare un accordo con l’azienda, o per portarla in tribunale. Il sindacato, come prima cosa, chiede l’iscrizione. Nel caso della Cgil il «costo tessera all’apertura della pratica» consiste in 100 euro. Poi le percentuali per la consulenza, che nel caso di un nuovo iscritto sono del 10% per vertenze fino a 10mila euro di valore, e scendono al 4% se l’indennizzo al lavoratore supera i 20mila euro.

Queste le tariffe praticate dai sindacati più grossi, che già contano su altre (e notevoli) entrate. Ma i più piccoli possono arrivare a chiedere anche il 25% di commissione su una causa di lavoro. Un ottimo incentivo a promuoverle, a spingere il lavoratore a fare ricorso, e a chiuderla con un accordo-risarcimento in sede stragiudiziale, cioè con una conciliazione che evita di andare in tribunale, e quindi senza appoggiarsi a studi legali e avvocati che a loro volta chiederebbero una parcella.

Un enorme giro di denaro, dunque, anche attorno all’articolo 18, se si conta che l’Istat in un’indagine del 2013 ha contato più di un milione di italiani coinvolti in cause di lavoro, in corso o passate. «Parliamo di diverse decine di milioni di euro l’anno di incassi per i sindacati – stima la dottoressa Loredana Fossaceca, dell’associazione Assofamiglie -. Tutti esentasse, tra l’altro, poiché contabilizzate come dazioni dei soci, non come un’entrata sottoposta a tassazione». Cioè faccio causa, l’azienda mi propone un indennizzo di 10mila euro, al sindacato giro il contributo di mille euro per la consulenza, che figurano come una mia donazione, da socio, all’associazione sindacale. Quindi mille euro netti, puliti, esentasse. Secondo l’Espresso soltanto l’ufficio vertenze della Cgil-Lazio avrebbe incassato in un anno circa un milione di euro. La Cisl, in Lombardia, dal 2009 al 2013 ha recuperato 200 milioni di euro dalle vertenze, mentre a Bergamo e provincia le tre sigle (Cgil, Cisl e Uil) hanno assistito 6.400 persone nel 2013 recuperando 27 milioni di euro tra diritti al risarcimento, riconoscimento dei diritti lesi e mancati pagamenti. Se prendiamo una media del 5% di contributo, ai sindacati sono andati 1,35 milioni di euro, solo in provincia di Bergamo. Un settore, insomma, che non conosce crisi, anzi lievita con le crisi aziendali.

E i tribunali del lavoro si ingolfano. Nei procedimenti relativi all’articolo 18 la durata media dei processi – dall’iscrizione al ruolo alla sentenza o alla conciliazione – è di 266 giorni a Milano, 429 a Roma e 200 a Torino. I casi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo iscritti a ruolo nei tribunali di Milano, Roma e Torino nel 2003-2005 erano rispettivamente 3.419, 6.444 e 1.736. Una montagna di cause che – spiegano in una ricerca pubblicata da lavoce.info Andrea Ichino e Paolo Pinotti – si trasformano in una roulette russa, perché l’esito e i tempi non sono affatto prevedibili. Non solo, dall’analisi delle sentenze in diversi tribunali emerge che «giudici diversi decidono diversamente casi molto simili a seconda della regione in cui il rapporto di lavoro ha luogo e in funzione del tasso di disoccupazione locale». In altri termini un giudice del lavoro, in una zona dove la disoccupazione è alta, tenderà a dare ragione più spesso al lavoratore. Come se fosse il tribunale a dover combattere la disoccupazione.

Di questa mole enorme di ricorsi beneficiano gli avvocati, e poi i sindacati. Che hanno un altro vantaggio.

Dal 2002 è stato introdotto un «contributo unificato» per proporre un giudizio in materia civile, amministrativa o tributaria, con importi a seconda del valore della controversia. Una tassa che a ogni legge di Stabilità è stata aumentata. Nel 2013 però il ministero della Giustizia ha chiarito, con una circolare, quali sono i casi e i soggetti esentati dal contributo unificato. Chi? I sindacati.

 

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