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Il peer to peer lending

Si chiama peer to peer (p2p) lending. È la nuova frontiera dei prestiti, verso privati ma anche verso le pmi (piccole e medie imprese). Una soluzione alternativa al tradizionale canale bancario e che si pone sul mercato anche come interessante fonte di diversificazione degli investimenti. Nel p2p lending i “prestatori” sono i privati che, attraverso una delle diverse piattaforme autorizzate in Italia da Banca d’Italia, possono finanziare sia le imprese, dando un supporto all’economia reale, sia le famiglie. In cambio ricevono degli interessi, che mediamente si aggirano intorno al 5 per cento. Un rendimento che non ha nulla da invidiare al mercato azionario e che oggi è di gran lunga superiore a quello offerto dai titolo di Stato e dalle obbligazioni investment grade. “Sulla nostra piattaforma abbiamo circa 4 mila prestatori, la cui esigenza è diversificare le fonti di investimento – conferma Livio Montesarchio, marketing & sales manager di Borsadelcredito.it –. E quello che attira maggiormente è proprio il ritorno economico, che è molto più interessante rispetto ad altri strumenti comparabili in termini di rischio-rendimento. Altra caratteristica di questa particolare forma di investimento è la trasparenza. I nostri prestatori sanno esattamente il giro che fanno i loro capitali: conoscono l’età dell’azienda, il settore e la zona di provenienza, il fatturato e tante altre informazione utili per capire a chi si sta prestando. Inoltre, possono vedere anche il piano di ammortamento e i rendimenti realizzati in itinere”.


Lo scenario

Fino al 2017 il mercato del p2p lending viaggiava con il freno a mano tirato in Italia. Colpa di una tassazione ad aliquota marginale che colpiva i rendimenti. Ma con la Legge di Bilancio 2018 le cose sono cambiate e ora i rendimenti subiscono una ritenuta del 26%, al pari di tutti gli altri redditi da capitale. Tant’è che l’anno scorso tutte le piattaforme di lending operative in Italia, comprese quelle che scontano le fatture (invoice trading), hanno più che raddoppiato l’erogato (763 milioni di euro). E il primo trimestre di quest’anno ha confermato questo trend, con 309 milioni erogati rispetto ai 129 dello stesso periodo del 2018. “Tolto il freno della tassazione, anche noi abbiamo registrato un boom di iscrizioni alla piattaforma – argomenta Montesarchio –. E di strada da fare ne abbiamo ancora tanta. C’è un gap molto ampio da colmare rispetto ai mercati più maturi. Nel triennio 2016-2018, l’Italia ha erogato complessivamente 1,2 miliardi, l’Europa senza il Regno Unito 8,3 miliardi, solo Uk 16 miliardi, mentre in America il mercato vale addirittura 92 miliardi di dollari”.

Le piattaforme

Escludendo il settore dell’invoice trading (conta 4 operatori: CashMe, Credimi, Fifty e Workinvoice), in Italia si contano complessivamente 6 piattaforme specializzate nel social lending. Quattro sono focalizzate sui prestiti verso privati. Tra queste a fare da apripista nella Penisola è stata Smartika, che avviò la sua attività prima nel 2008, grazie a un accordo in franchising con la britannica Zopa, per poi ripartire con il nuovo brand nel 2012. Poi sono arrivate anche Prestiamoci, Soisy e Youited Credit. Le altre due piattaforme autorizzate all’operatività in Italia, invece, sono focalizzate sui prestiti verso le imprese: Borsadelcredito.it e October.

Come funzionano

L’adesione a queste piattaforme è tutta digitale. Ci si collega al sito, si crea l’account inserendo i dati anagrafici richiesti e le coordinate bancarie, si firma il contratto sempre in digitale, e poi si fa il primo bonifico. A quel punto si è già operativi ed è possibile scegliere la composizione del portafoglio di prestiti, il tasso e la durata. “Nel nostro caso – sottolinea Montesarchio – più del 95% dei prestatori sceglie la proposta che si chiama profilo gestito: in pratica siamo noi che andiamo ad associare i capitali con i prestiti deliberati. La cosa importante da sottolineare è che abbiamo una diversificazione media dell’1%. Questo vuol dire che un capitale di 10mila euro, per fare un esempio, è suddiviso in 100 prestiti”. Una soluzione che permette di abbattere il rischio legati al mancato rimborso del prestito. Man mano che i finanziamenti verranno rimborsati, il prestatore ricevere i capitali comprensivi degli interessi. “È possibile anche ritirare i propri soldi prima della naturale scadenza del prestito, vendendo il portafoglio residuo su un mercato secondario interno alla piattaforma – aggiunge Montesarchio – Però, è possibile vendere solo i prestiti regolari. Per quelli incagliati bisognerà attendere la scadenza”.

Chi può accedervi

Tutti possono diventare prestatori sulle piattaforme operative in Italia. Basta avere 18 anni e un codice fiscale italiano. “Sono gli unici filtri richiesti – fa notare Montesarchio – Poi saremo noi a fare gli opportuni controlli antiriciclaggio”. Lato richiedente il prestito, invece, che sia un privato o un’azienda, vengono fatti tutti i controlli di rito per verificarne l’affidabilità creditizia. “Nel caso di Borsadelcredito.it, andiamo a selezionare aziende con almeno 2-3 anni di vita e che quindi non sono start-up – prosegue Montesarchio –. Inoltre, l’azienda deve essere italiana e con un fatturato minimo di 50mila euro l’anno. Andiamo poi ad analizzare anche gli indici di bilancio, per testare la buona salute dell’impresa. Mediamente, su 100 aziende che bussano alla nostra porta ne finanziamo soltanto 5”.

I costi

“Di base, un prestatore prende in media il 5% di rendimento sui prestiti (gli interessi oscillano, in base anche al rischio, in una forchetta tra il 4% e il 7%, ndr) – spiega Montesarchio – Noi chiediamo una commissione dell’ 1% sulle somme prestate inferiori a 10mila euro. Il primo anno la gestione è totalmente gratuita, considerando che paghiamo per conto del prestatore anche la ritenuta fiscale del 26 per cento. Dal secondo anno in poi, invece, si dovrà pagare la commissione, che sarà tanto più bassa quanto più alto sarà il capitale. Trattandosi di un conto di pagamento, poi, non è prevista l’imposta di bollo”.

Il rischio default

Trattandosi di prestiti, c’è sempre il rischio che qualcuno non onori i suoi debiti. “Non esiste un mondo in cui tutti pagano regolarmente – avverte Montesarchio – I nostri prestatori lo sanno bene. Detto questo, il nostro obiettivo è dare rendimento al netto delle perdite che ci aspettiamo. Quindi, come forma di tutela e garanzia, chiediamo un contributo alle aziende che richiedono un finanziamento da accantonare in un apposito fondo di protezione, da utilizzare in ultima istanza, e dopo l’attività di recupero crediti, per ripagare integralmente il debito che non è stato onorato. Ma non è una garanzia totale. Se il fondo non avrà la capienza necessaria, infatti, non potrà restituire il 100%. In tre anni e mezzo di storia, però, non è mai capitato che il fondo non fosse capiente”.





 

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