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  • Nel 2023, l’andamento del ciclo economico, pur indebolito, resta positivo: tuttavia, le variazioni annue del Pil in volume (+0,9%) e pro capite (+1%) sono inferiori a quelle del 2022 e il valore aggiunto per occupato diminuisce dello 0,7%.
  • Prosegue nel 2023 la ripresa del mercato del lavoro italiano. Il tasso di occupazione dei 20-64enni sale al 66,3% (+1,5 punti percentuali); il tasso di disoccupazione (7,7%) si contrae di 0,4 p.p.
  • Nonostante il recupero degli ultimi anni, i differenziali con l’Ue restano elevati: nel 2023, l’Italia è all’ultimo posto nella graduatoria europea del tasso di occupazione (-9 punti percentuali rispetto al livello medio Ue27) e seconda solo a Grecia e Spagna rispetto al tasso di disoccupazione (-1,6 p.p. rispetto a Ue27).
  • Ancora in calo, nel 2023, la quota di occupati part-time per mancanza di alternative: per ogni uomo ci sono ben 3 donne in questa condizione.
  • Continua nel 2023 la diminuzione del tasso di occupazione irregolare iniziata nel 2019, accompagnata da una lieve riduzione dei divari territoriali.

Le misure statistiche diffuse dall’Istat per il Goal 8 sono ventotto, riferite a dodici indicatori UN-IAEG-SDGs. Nel confronto tra i valori dell’ultimo anno disponibile e quelli dell’anno precedente, circa la metà delle misure presentano un miglioramento, grazie in particolare alle più favorevoli condizioni del mercato del lavoro italiano e all’andamento del consumo materiale interno sul Pil (Figura 8.1). Alla contrazione della spesa pubblica per misure occupazionali e protezione sociale dei disoccupati e al numero di servizi bancari sulla popolazione si deve l’elevata quota di misure in peggioramento. Nel confronto su base decennale, invece, si registrano più ampi miglioramenti e una quota minoritaria di misure in peggioramento o stabili.

Nel 2023 l’andamento del ciclo economico si indebolisce, ma resta positivo

Nel 2023, Il prodotto interno lordo ha registrato in Italia un incremento dello 0,9% in volume, segnando un rallentamento dell’attività economica rispetto all’anno precedente (+4%). La crescita è stata sostenuta soprattutto dalla domanda nazionale al netto delle scorte, con un apporto di pari entità dei consumi (+1 punto percentuale, di cui +0,7 p.p. per le famiglie e +0,2 p.p. per le Amministrazioni Pubbliche) e degli investimenti (+1 p.p.), mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo solo lievemente positivo.

La crescita italiana è stata più sostenuta rispetto alla media, sia dell’Ue27, sia dell’area euro (+0,5% per entrambe). Rispetto alle altre maggiori economie europee, l’Italia è cresciuta più della Francia (+0,7%), ma, per il secondo anno consecutivo, meno della Spagna (+2,5%). L’economia tedesca, che ha risentito più di altre dell’impatto della crisi energetica sulla produzione industriale, ha registrato invece una contrazione del Pil dello 0,2%.

In termini pro capite, nel 2023 l’incremento del Pil è pari all’1% (+4,2% nell’anno precedente), mentre il Pil per occupato registra un calo dello 0,9% (+2,2% nel 2022), determinato da un’espansione dell’occupazione più pronunciata rispetto al Pil, come già avvenuto negli anni precedenti. La produttività del lavoro – misurata in termini di valore aggiunto per occupato – diminuisce dello 0,7%. Le costruzioni (+2,7%), i servizi di alloggio e ristorazione (+1,4%), le attività immobiliari (+0,2%) e le attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, riparazione di beni per la casa e altri servizi (+6,9%) sono gli unici settori caratterizzati da una dinamica espansiva della produttività.

Recupero del mercato del lavoro nel 2023, ma l’Italia è ancora molto distante dall’Unione europea e segnata da persistenti divari interni

Prosegue nel 2023 il positivo andamento del mercato del lavoro italiano. Il tasso di occupazione dei 20-64enni si attesta al 66,3% (+1,5 punti percentuali rispetto al 2022), mentre il tasso di disoccupazione a 7,7% (-0,4 p.p.). L’incremento del tasso di occupazione – diffuso in tutto il contesto europeo – è per l’Italia particolarmente intenso: più che doppio rispetto alla media dei 27 Stati Membri (che vede un recupero di 0,7 p.p.) e secondo solo a quello di Malta (+1,6 p.p.). In termini di tasso di disoccupazione, l’Italia si distingue per progressi di portata superiore, sia al profilo medio dell’Ue27 (0,1 p.p.), sia alle quattro principali economie dell’Unione, a eccezione della Spagna (che registra un calo di 0,8 p.p.). 

Nonostante il recupero degli ultimi anni, nell’ultimo decennio il nostro Paese mostra una situazione di minor dinamismo tanto rispetto alla media europea (con un aumento complessivo del tasso di occupazione di 7,2 punti percentuali versus 8,5 p.p. per l’Ue27 e una flessione del tasso di occupazione di 4,7 p.p. vs. 5,5), quanto rispetto alla Spagna (+11,9 e -13,9 p.p.). Più favorevole invece la performance italiana rispetto a quella della Germania e della Francia, che vedono il tasso di occupazione aumentare, rispettivamente, di 4,8 e 4,7 p.p. e il tasso di disoccupazione ridursi di 1, 9 e 3 p.p.

Tasso di occupazione (20-64 anni) e tasso di disoccupazione. Anni 2012- 2023 (numeri indici 2013=100)

Il divario tra Italia e Unione europea resta elevato. Nel 2023, l’Italia si colloca all’ultimo posto nella graduatoria europea del tasso di occupazione, al di sotto del livello medio Ue27 (75,3%) di 9 punti percentuali (-13,7 p.p. per le donne e -4,4 p.p. per gli uomini). Nel ranking del tasso di disoccupazione, il nostro Paese è, a pari merito con la Svezia, secondo solo a Grecia e Spagna, con un differenziale rispetto all’Ue27 di -1,6 p.p. (-2,4 p.p. per la componente femminile e -1,0 per quella maschile).

La ripresa dell’ultimo anno, pur agendo selettivamente sui differenti segmenti di popolazione, ha lasciato per lo più inalterate le profonde disuguaglianze che caratterizzano il mercato del lavoro (Figura 8.3), salvo alcune parziali eccezioni. La crescita dell’occupazione ha premiato maggiormente le donne rispetto agli uomini (+1,5 p.p. vs. +1,3) e i residenti nel Mezzogiorno (+1,7 p.p.), e in particolare nelle Isole (+2,2), rispetto al Centro (+1,2) e al Nord (+1,4). La componente femminile ha beneficiato più di quella maschile anche della contrazione della disoccupazione (-0,6 p.p. contro -0,3 p.p.), mentre a livello territoriale, il tasso di disoccupazione si è ridotto soprattutto nel Centro (-0,8 contro 0,5 del Nord e 0,3 del Mezzogiorno).

Il gap di genere, che lo scorso anno era aumentato, torna a ridursi lievemente, ma si attesta comunque a +2 punti percentuali per le donne, per il tasso di disoccupazione, e -19,5 p.p. per quello di occupazione, con livelli molto più elevati di quelli dell’Ue27 (rispettivamente +0,6 p.p. e -10.2 p.p.). I più giovani continuano a registrare un tasso di occupazione (36% per i 20 ventiquattrenni) pari a poco più della metà del valore nazionale e un tasso di disoccupazione (22,7% per i 15-24enni) che supera di tre volte il valore medio nazionale. Nonostante la dinamica degli ultimi anni abbia determinato una lieve riduzione degli squilibri territoriali a svantaggio del Mezzogiorno, ancora nel 2023, la ripartizione meridionale presenta un tasso di occupazione inferiore alla media italiana di 14,1 p.p. e un tasso di disoccupazione superiore di 6,3. Aumenta, rispetto al 2022, lo svantaggio delle persone a più basso livello di istruzione (al più la licenza media) rispetto alle persone più istruite (in possesso di titolo universitario): -12,6 p.p. per la quota di occupati sulla popolazione e +3,7 p.p. per la quota di disoccupati sulle forze lavoro. Gli stranieri, che fino al 2019 avevano un tasso di occupazione superiore agli italiani, scontano ormai da quattro anni un differenziale negativo (-1,2 p.p. nel 2023), che si somma allo svantaggio in termini di tasso di disoccupazione (+3,6 p.p).

Diminuisce la quota di occupati in part-time per mancanza di opportunità a tempo pieno

La crescita occupazionale del 2023 va ricondotta soprattutto alla componente standard dell’occupazione (a tempo pieno e indeterminato). La quota di occupati in lavori a termine da almeno cinque anni, caratterizzati da una più profonda vulnerabilità lavorativa, aumenta dal 17,0% del 2022 al 18,1%. Migliora invece il dato relativo al part-time involontario: gli occupati che svolgono un lavoro a tempo parziale per mancanza di opportunità di lavoro a tempo pieno scende, per il quarto anno consecutivo, attestandosi a 9.6 su 100 (-0,6 p.p.).

La non piena intensità lavorativa rispetto alla disponibilità del lavoratore e la precarietà contrattuale si confermano come più diffuse tra gli stranieri, impiegati in lavori a temine da almeno cinque anni nel 20,1% dei casi e in lavori part-time nel 16,2% (contro il 17,7% e 8,8% per gli italiani), le persone meno istruite (12,2% e 24,1% per chi ha al più la licenza media versus 6,1% e 18,2% per chi ha un’istruzione terziaria), gli occupati delle Meridione, in particolare delle Isole (rispettivamente, 24% e 25% di contratti a termine e 13% e 15% di part time involontario, rispetto a 14% e 7% del Nord). Se il lavoro a tempo parziale non volontario penalizza soprattutto le donne, con una quota (15,6%) tripla rispetto agli uomini (5,1), e i giovani (18% per i 15-24enni e 11% per i 25-34enni), non altrettanto può dirsi per il lavoro a tempo determinato di lunga durata, più elevato tra gli uomini (18,8% contro 17,4%) e tra i più anziani (37% tra i 55-59enni e 44% tra i 60-64enni).

Sostanzialmente stabile il lavoro da casa, che resta diffuso soprattutto tra i laureati

Dopo la rilevante espansione registrata durante la fase pandemica e il ridimensionamento del 2022, nel 2023 la percentuale di occupati che lavorano da casa sul totale degli occupati resta sostanzialmente stabile, attestandosi al 12%. Le variazioni per genere avvicinano la componente femminile (11%) a quella maschile (13%), quelle per livello di istruzione i laureati (27,4%) ai diplomati (9,4%) e alle persone con al massimo la licenza media (2,1%), ma i differenziali di istruzione restano notevoli. La flessione del lavoro da casa interessa in maniera piuttosto uniforme il territorio, confermando una maggiore diffusione nel Centro (15,0%) e nel Nord (13,2%; 14,7% nel Nord-ovest) rispetto al Mezzogiorno (7,4%).

Continua la riduzione del tasso di occupazione irregolare e diminuiscono i divari territoriali

Nel 2022, gli occupati non regolari rappresentano il 10,8% degli occupati totali, in calo di 0,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Si protrae il positivo andamento iniziato nel 2015, quando, dopo aver toccato il suo massimo (13,5%), la quota di occupazione irregolare ha iniziato a ridursi, registrando, tra il 2015 e il 2022, una complessiva flessione di quasi 3 punti percentuali. Nel 2021, la contrazione di occupati irregolari più consistente si osserva nei settori della sanità e assistenza sociale (-1,7 punti p.p.) e agricoltura, silvicoltura e pesca e costruzioni (-1,2 p.p. per entrambi). Segnano invece un ulteriore leggero incremento le attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, riparazione di beni per la casa e altri servizi e i servizi alle famiglie, confermandosi come i settori a più elevato tasso di occupazione irregolare (rispettivamente 40,1% e 51,8%), insieme all’agricoltura, in cui quasi un quarto degli occupati sono non regolari. L’occupazione irregolare si conferma meno diffusa tra i lavoratori del Nord (9,3 per il Nord-ovest e 8,4 per il Nord-est) rispetto a quelli del Centro (11,7%) e del Mezzogiorno (15,6%). Se, da una parte, Calabria (19,6%), Campania (16,5%) e Sicilia (16%) mostrano i tassi di lavoro irregolare più alti d’Italia, dall’altra, sono anche le regioni che registrano le contrazioni superiori insieme al Molise e alla Sardegna, a conferma, sottolinea l’Istat, di come la variabilità regionale si stia progressivamente riducendo.

Migliora il tasso di infortuni e inabilità permanenti sul lavoro

Nel 2022 migliora anche il tasso di infortuni mortali e inabilità permanenti, che si porta a 10 per 10.000 occupati, il valore più basso degli ultimi cinque anni, in calo rispetto al 2021 (11,1) del 10%. Sebbene si confermi anche nel 2022 una tendenziale convergenza a livello territoriale, la frequenza di infortuni mortali e delle inabilità permanenti in rapporto agli occupati resta assai variabile, passando da 8,7 nel Nord (-12,1% rispetto all’anno precedente) a 11 nel Centro (-4,3%) per arrivare a 12 nel Mezzogiorno (-8,4%). I differenziali interregionali sono ancora più sostenuti, con l’Umbria, la regione a maggior rischio di infortuni (16,7 infortuni mortali e inabilità permanenti su 10.000 occupati) che registra un valore più che doppio rispetto a Lombardia, Piemonte e Lazio (tra 7,4 e 7,6). Il tasso di infortuni aumenta all’aumentare dell’età dei lavoratori ed è decisamente superiore per gli uomini (13,6 contro 5,3 per le donne) e per i lavoratori stranieri (15,9 rispetto al 9,4 per gli italiani). Si tratta di andamenti che risentono anche del diverso peso relativo di queste categorie di lavoratori nei settori occupazionali a maggior rischio di infortunio, così come della differente struttura economica territoriale.

 

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