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In Manovra spunta l’aumento delle accise del diesel. Allo studio nuovo Ecobonus con finanziamenti a tasso agevolato. D’Amato (Seda): “Ue cambi rotta su Green Deal”. La rassegna Energia

Addio sconto del diesel rispetto alla benzina. Infatti, in Manovra spunta l’aumento delle accise sul diesel. In generale, la pressione fiscale in Italia nel prossimo triennio raggiungerà il 43%, il massimo degli ultimi anni. Il Governo sta studiando il nuovo Ecobonus. La novità principale potrebbe essere l’introduzione di strumenti finanziari che possano sostituire la cessione del credito e lo sconto in fattura, quali i finanziamenti a tasso agevolato. Antonio D’Amato, presidente del gruppo Seda, va all’attacco del Green Deal e degli investimenti green: “Gli Esg sono stati distorti da una visione woke del capitalismo che ha portato a strumentalizzare il concetto di sostenibilità”, ha detto in un’intervista rilasciata a Il Foglio. La rassegna Energia

ENERGIA, IN MANOVRA AUMENTO ACCISE DIESEL

“Mezzo punto percentuale in più rispetto al 2024, oltre un punto sul 2023. La pressione fiscale in Italia toccherà quota 42,8% nel prossimo anno. E sarà stabile a quel valore almeno fino al 2026. Lo schema di base, a legislazione vigente, è contenuto a pagina 189 del Piano strutturale di bilancio. Nonostante le promesse, il carico tributario del prossimo triennio sarà a ridosso del 43%, il massimo degli ulti
mi anni. E c’è un’altra promessa del centrodestra destinata a saltare: l’abolizione delle accise sui carburanti. Nel Psb il governo annuncia un riallineamento verso l’alto delle imposte sul diesel, cancellando lo sconto rispetto alla benzina. Le premesse erano altre”, si legge su La Stampa.

“Almeno a parole, il governo di Giorgia Meloni aveva rimarcato che ci sarebbe stata una graduale riduzione degli oneri fiscali nei prossimi anni. La realtà invece è che la pressione tributaria media crescerà ancora. Secondo il Psb le entrate passeranno dal 46,6% del Pil dello scorso anno al 47,5% del 2025. Una variazione inferiore a quella registrata sul fronte del fardello erariale che pesa su imprese e famiglie. Durante la riunione di luglio, più di un membro della Banca centrale europea aveva espresso «preoccupazioni» riguardo le politiche fiscali degli Stati membri, considerate «una sfida» in autunno. I timori riguardavano – «in un periodo di incertezza politica e di cambiamenti di governo», sottolineava la Bce – il consolidamento fiscale. (…) il problema non riguarda solo i conti pubblici, che de
vono essere in ordine. Bensì, nel caso dell’Italia, un clima burocratico in grado di essere attrattivo. Anche a cominciare da aliquote fiscali più leggere rispetto ai Paesi limitrofi. Così, a detta del Psb, non sarà”, continua il giornale.

“Per il Partito democratico la norma approvata da Palazzo Madama è «una vergogna, un Robin Hood al contrario», l’Alleanza verdi e sinistra parla di «condono nel condono», mentre il Movimento 5 Stelle accusa la maggioranza di aver varato un provvedimento «penoso». Interviene anche il segretario della Cgil Maurizio Landini: «Le riforme che sta facendo questo governo aiutano gli evasori, si sta aumentando solo la tassazione sui lavoratori dipendenti e i pensionati». Il tema del concordato sembra aver condotto il governo in un vicolo cieco. Il progetto del vice ministro Maurizio Leo – sostenuto da Fratelli d’Italia e Forza Italia – di far emergere a prezzo di saldo i redditi nascosti al fisco dalle partite Iva per recuperare gettito, e destinarlo al taglio delle tasse per il ceto medio, sembra sempre più in bilico. (…) Con un’aliquota tra il 10 e il 15% a secondo del voto Isa (l’indice di affidabilità fiscale) le partite Iva potranno
mettersi in regola con l’Agenzia delle entrate per i prossimi due anni, senza subire ulteriori controlli, e sanare anche il passato. Per tagliare l’Irpef di uno o due punti a favore del ceto medio, ovvero per i redditi tra 35 mila e 50-60 mila euro lordi l’anno, servono almeno due miliardi e mezzo”, continua il giornale.

CASE, MUTUI GREEN PER DETRAZIONI

“Preferenza per le prime case, le unità immobiliari con classe energetica sotto la media e i redditi più bassi. Stop per le categorie catastali di lusso e per le tecnologie non più ammesse dalle norme europee, come le caldaie a gas. Ma, soprattutto, ricerca di strumenti finanziari che possano andare a sostituire la cessione del credito e lo sconto in fattura, come i finanziamenti a tasso agevolato.
Sono queste le coordinate dell’intervento che il Governo sta studiando per riformare l’ecobonus a partire dal 2025. Proprio mentre viene pubblicato il Piano strutturale di bilancio dell’esecutivo (Psb), arriva una risposta del ministero dell’Ambiente a un’interrogazione di Fabrizio Benzoni (Azione) in commissione attività produttive alla Camera, attraverso il viceministro Vannia Gava. E vengono resi, così, noti numerosi dettagli che vanno proprio nella direzione indicata dal Psb (si veda «Il Sole 24 Ore» di domenica), in vista della prossima legge di Bilancio. L’ecobonus, come ricorda l’interrogazione, è in scadenza a fine 2024, insieme a molti altri bonus casa. Soprattutto, però, prevede meccanismi di incentivazione non più allineati alle indicazioni di Bruxelles”. si legge su Il Sole 24 Ore.

“Al di là delle formule generali, iniziano ad arrivare le prime indicazioni concrete su quello che succederà. Il primo punto è la «durata almeno decennale dell’incentivo, per rispondere agli obiettivi previsti per il settore residenziale dalla Epbd al 2035». In base alla Energy performance of buildings directive (la direttiva Case green), l’opera di riqualificazione degli edifici residenziali dovrà portare a un taglio del 16% dei consumi entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Da qui l’idea di avere sconti fiscali stabili, con una prospettiva pluriennale. Non saranno, però, sconti rivolti a tutti. Saranno privilegiate le «unità immobiliari soggette all’obbligo della direttiva Epbd (prime case, unità immobiliari con classe energetica bassa, situazioni di povertà energetica, e altro), escludendo categorie catastali di lusso e le tecnologie non più ammissibili secondo le norme europee». Quindi, potrebbero restare fuori le categorie come la A8 e la A9: ville e castelli. E rischiano tecnologie come le caldaie a gas, non più incentivabili in base alla Epbd”, continua il giornale.

“Altro concetto che sarà rafforzato rispetto ad oggi è quello della progressione delle agevolazioni. Ci saranno «benefici ridotti per gli interventi singoli e benefici crescenti in funzione della performance energetica raggiunta». Lavori più strutturati, con un impatto di risparmio maggiore, porteranno sconti più alti. Saranno confermati i tetti di spesa annui e i costi massimi unitari. La grande questione che si sta ponendo è, però, quella di rimpiazzare cessione del credito e sconto in fattura, meccanismi che, al di là dei difetti contestati dall’attuale Governo, sono serviti a far partire le ristrutturazioni in molte situazioni nelle quali altrimenti non ci sarebbero state le risorse necessarie. Per questo motivo si sta pensando a «strumenti finanziari di supporto», come ad esempio «finanziamenti a tasso agevolato, anche a copertura totale dei costi di investimento, con condizioni di favore per le persone in condizioni di povertà energetica, anche tramite l’individuazione di sinergie con la riforma del Fondo nazionale efficienza energetica»”, continua il giornale.

CLIMA, D’AMATO (SEDA): “UE CAMBI ROTTA SU GREEN DEAL”

“Gli Esg sono stati distorti da una visione woke del capitalismo che ha portato a strumentalizzare il concetto di sostenibilità”. La frase gli esce quasi di getto alla fine di un colloquio con il Foglio durante il quale Antonio D’Amato, presidente del gruppo Seda, leader mondiale del settore packaging per alimenti e già numero uno di Confindustria, spiega che l’Europa dovrebbe fare “un’inversione a U” sul modo in cui ha impostato la transizione energetica. Il suo è un ragionamento sulle prospettive del vecchio continente che, trovandosi al bivio tra leadership globale e declino, deve scegliere “strategie e percorsi” che lo rendano più competitivo su produzione, ricerca e innovazione. E il Green deal non è l’approccio giusto. “Il rischio – dice D’Amato – è che la connotazione ideologica che ha caratterizzato l’approccio alle politiche ambientali nella passata Commissione possa essere ancora presente in questa legislatura, nonostante il nuovo Parlamento si mostri consapevole della necessità di un deciso cambio d’indirizzo”, si legge su Il Foglio.

“(…) “Ovviamente, l’industria deve essere in prima fila nel continuare a migliorare la propria impronta carbonica e le industrie europee, in particolare quelle italiane, hanno fatti progressi straordinari negli ultimi venti anni. Tant’è che le emissioni dell’Europa rappresentano solo il 7 per cento di quelle globali e continuano a essere in riduzione. Equesto è stato reso possibile da continui investimenti in innovazione e ricerca in piena neutralità tecnologica. Un approccio costruttivo che è stato negato dall’ambizione politica dell’Europa degli ultimi anni, che ha rincorso obiettivi tutt’altro che sostenibili per l’ambiente, l’economia e la società, al fine di compiacere i mercati azionari”. Un aspetto, quello finanziario, di cui si parla poco ma che è anche un po’ il cuore del problema. L’indirizzo del Green deal europeo è stato pienamente recepito, se non anticipato, dai grandi fondi internazionali che hanno selezionato soprattutto le società quotate, ma non solo, attraverso l’adozione dei criteri “Esg” (Environmental, social, governance).(…) “Negli ultimi cinque anni – prosegue D’Amato – l’ideologia della transizione energetica ha perseguito il mito della decrescita felice, minando la competitività del sistema economico e industriale europeo e mettendo a serio rischio sia la tenuta sociale sia la stessa sostenibilità ambientale”, continua il giornale.

“In pratica, la sostenibilità si è rivelata “insostenibile” per l’economia? “Esatto, perché sono state portate avanti massicce iniziative legislative che, in assenza di ogni neutralità tecnologica e soprattutto prive di ogni validazione scientifica del loro impatto ambientale, hanno fortemente compromesso intere filiere industriali, da quelle di base all’automotive, dall’agroalimentare al packaging e al farmaceutico, dalla chimica al tessile, senza dimenticare la tassonomia e l’energia”. Per D’Amato occorre far leva su industrie di qualità, sostenibili e innovative, come ha messo in evidenza Mario Draghi nel suo rapporto sottolineando come negli ultimi anni le altre grandi potenze economiche del pianeta abbiano portato avanti politiche industriali spesso con l’obiettivo di renderci strutturalmente dipendenti da loro. (…) Le strade da percorrere? Per D’Amato sono tre: “Un cambio di passo nelle politiche dell’Unione europea per rilanciare crescita economica e reale sostenibilità ambientale; la scelta del nucleare come non più rinviabile e, infine, l’esportazione di know how, tecnologie ed economia circolare in paesi in via di sviluppo, a partire dal continente africano, di cui altri paesi stanno approfittando con logica colonizzatrice”, continua il giornale.

 

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