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Di  Clarice Delle Donne –


Sommario.- 1.- Premessa 2.- Il prospective overruling nell’esperienza statunitense (cenni) 3.- Prospective overruling e giurisprudenza civile:… 3.1.- Segue: …l’inesorabile allontanamento dalla logica originaria e il ruolo della rimessione in termini 3.2.- Rimessione in termini vs ius superveniens irretroattivo: due (opposti) modi di gestire il cambiamento 4.- Prospective overruling e giurisprudenza amministrativa: (quasi) tutta un’altra storia 4.1.- Segue. Cons. Stato n. 2268/ 2018 4.2.- Segue. A.P. n. 13/2017 4.3.- Segue. A. P. nn. 17 e 18/2021 5.- Qualche finale riflessione (a margine del dibattito su una “celebre dottrina”)

1.- Premessa

Un libro recente[1]affronta, con ampia e documentata riflessione, il tema dei profondi mutamenti del ruolo del giudice, in specie amministrativo, nell’ordinamento multilivello.

L’analisi ruota intorno ai rapporti tra il giudice e l’interpretazione della legge dipanandosi lungo i sentieri del crescente “creazionismo giudiziario.” Le premesse teorico-ricostruttive e l’ampio corredo casistico rendono infatti plasticamente, nell’incedere della trattazione, l’idea del patologico superamento dei limiti della discrezionalità pure immanente all’interpretazione.

Particolarmente sintomatica di questo superamento appare all’A., ex multis, la formula della “modulazione degli effetti della sentenza di annullamento.”[2]

Di essa, in sé ambigua, viene fatto dalla giurisprudenza amministrativa un uso massiccio in presenza dei più svariati presupposti, peraltro a loro volta sfuggenti, e non sempre allo scopo di giustificare, in motivazione, lo stesso risultato.

Lo stereotipo si alimentata a sua volta dell’intreccio con la figura, ambigua anch’essa, del prospective overruling, protagonista di una convulsa stagione di attivismo giudiziario della Cassazione civile e alla cui lezione il Consiglio di Stato dichiara, in occasioni ed a fini diversi, di attenersi.

Il legal transplant di questo istituto nel contesto domestico nasconde tuttavia realtà ben diverse, e ben diversi effetti di sistema, nella giustizia civile ed in quella amministrativa proprio in riferimento al ruolo del giudice e, in definitiva, alla natura stessa del processo.

Di qui le considerazioni che seguono, partendo proprio dall’ordinamento che il prospective overruling ha forgiato.

2.- Il prospective overruling nell’esperienza statunitense (cenni)

Il prospective overruling noto all’ordinamento statunitense[3] è (frutto del)la prerogativa che una Corte Suprema si autoattribuisce quando decide un caso.

Tale prerogativa consiste, segnatamente, nel modificare il precedente applicabile a quel caso perché oramai inadeguato, stabilendo però che tale modifica, l’overruling appunto, valga per tutti i casi che si presenteranno in futuro (da cui l’aggettivazione prospective) mentre proprio il caso sub iudice è deciso in base alla regola overruled.[4]

A questa configurazione più radicale, anche nota come pure prospective overruling, se ne affiancano altre per così dire intermedie: nella variante cd. limited (o qualified o selective) l’overruling si applica per scelta della Corte, oltre che a tutti i casi futuri, anche al caso sub iudice ma non invece a tutti gli altri casi altrove già pendenti, ai quali continuerà ad applicarsi, perciò, il precedente overruled[5].

Le caratteristiche comuni del fenomeno nel suo contesto di riferimento sono dunque così schematizzabili:

a)è prerogativa di una Corte Suprema che decide un caso;

b)attiene naturalmente al diritto sostanziale applicabile a quel caso;

c)dipende da una scelta discrezionale del giudice Supremo che, in base alla variante in concreto adottata, ha diverse conseguenze.

Nella variante limited, l’overruling mantiene comunque il significato, e conserva l’efficacia giuridica, di decisione del caso sub iudice, visto che ne è ratio decidendi. La selezione dei destinatari diversi dalle parti in causa (le parti di futuri giudizi ma non quelle di altri giudizi altrove già pendenti) non altera infatti il dato che proprio il caso sub iudice viene deciso applicando l’overruling e non la regola overruled.

L’aggettivo prospective non altera dunque, nel caso da cui origina, il significato tecnico-giuridico del sostantivo overruling, solo rimarcando il ruolo della Corte Suprema, legittimata a produrre rules che potrebbero divenire, ex post, precedenti in base al loro successo applicativo, anche nei casi già pendenti.[6]

Tutt’altro scenario si schiude invece per la variante pure dove la Corte, nel sottrarre all’overruling proprio il caso ad essa sottoposto per deciderlo in base al precedente overruled, ribalta le sorti del giudizio[7]. Qui si assiste infatti ad una artificiale trasformazione della ratio decidendi in obiter dictum. Nel momento in cui per scelta della Corte l’overruling diviene prospective, esso parla al futuro e non al caso sub iudice che ne resta immune: l’aggettivo prospective fa aggio sul sostantivo overruling privandolo del significato e della forza giuridica sua propria. Il prospective overruling è dunque in tal caso una non decisione, un obiter, appunto.[8]

Ed è proprio per queste ragioni che la variante pure altera sensibilmente il rapporto tra il giudice e il parametro della decisione.

Autoattribuendosi questa prerogativa il giudice supremo riconosce infatti a sé stesso il potere di decidere un caso non in base alla regola che egli stesso ha individuato come applicabile (l’overruling, appunto) ma in base a quella che ha “bocciato” ritenendola overruled. Con la conseguenza che un caso che sarebbe fisiologicamente destinato ad un esito finisce con l’avere, in applicazione di una regola dichiaratamente obsoleta, l’esito opposto.[9]

L’esigenza che la tecnica mira a soddisfare è, beninteso, delle più serie.

In aggiunta alle ragioni di policy che giustificano la scelta nel caso concreto e che non vanno mai perse di vista, ve ne è infatti una più profonda. Ripugna cioè a ragioni di equità e civiltà giuridica da sempre avvertite l’applicazione di una nuova regola, o di un nuovo modo di intendere il parametro della decisione, a casi in cui una delle parti ha applicato una diversa regola o interpretazione fino a quel momento costantemente invalsa. Un canone che negli ordinamenti continentali come in quelli di common law punta a evitare che la buona fede insita nell’applicare regole e/o parametri operanti al momento in cui la condotta è tenuta sia tradita valutando quella condotta alla luce di regole sopravvenute.

E’ insomma quella stessa ratio che per la successione di leggi nel tempo si compendia nel vieto brocardo tempus regit actum.

Il punto è però proprio questo: che si tratta di un canone di autolimitazione adottato dai legislatori[10] e valido per le norme di diritto mentre è quantomeno dubbio che lo stesso possa valere per gli orientamenti giurisprudenziali, che interpretano ma non creano il diritto.[11]

Su questi profili tornerò in seguito e nelle conclusioni.

Qui intendo solo rimarcare come proprio questo profilo particolarmente critico sia ben presente alla stessa Corte Suprema cui il pure la tecnica del (pure) prospective overruling si deve. Il carattere retrospettivo dell’overruling, la sua naturale applicazione cioè al caso sub iudice[12], rimane infatti pur sempre la regola, eccezionalmente sovvertibile solo all’esito di uno specifico test[13] a carico della parte che ne invoca, appunto, la degradazione a prospective/obiter.

Ed è sempre per questo che in Inghilterra invece la tecnica non ha mai attecchito.[14]

 

3.- Prospective overruling e giurisprudenza civile:…

 

Nell’esperienza della giurisprudenza civile l’espressione prospective overruling, invalsa nell’uso comune[15] da un certo momento storico in poi, rimanda a quel fenomeno, sempre più pervasivo, di mutamento repentino e inaspettato della giurisprudenza di legittimità in ordine all’interpretazione di una norma processuale. Evento tanto più scottante quando la nuova interpretazione comporta decadenze da poteri e facoltà processuali che secondo il precedente più liberale orientamento, in costanza del quale gli atti furono compiuti e le condotte tenute, non si sarebbero verificate.

Si pone dunque il tema se esista, e come vada eventualmente tutelato, l’affidamento della parte che ha improntato la propria condotta processuale ad un orientamento invalso al momento in cui ha agito ma poi mutato in senso restrittivo.

La lettura dei provvedimenti più noti ed eclatanti in cui, dal finire del 2009 in poi, la Cassazione ha repentinamente sovvertito una propria interpretazione consolidata relativa ad una norma processuale, rivela che proprio il mutamento di orientamento è maturato non in sede di decisione dei ricorsi ma solo in obiter dictum.[16]

Il dato è di per sé significativo della distanza che separa il fenomeno di casa nostra dall’istituto del pure prospective overruling descritto nel precedente paragrafo.[17]

Al di là del riferimento alle norme processuali e non sostanziali, sul quale tornerò, nella nostra esperienza i ricorsi sono stati infatti decisi in base alla loro naturale ratio decidendi. La proiezione del mutamento di interpretazione verso il futuro e gli altri processi aliunde pendenti[18] non è dovuta dunque ad una scelta discrezionale della Cassazione ma al fatto che il mutamento stesso è maturato in sede di obiter ed è dunque fisiologicamente proiettato[19] verso le (diverse) controversie aventi le caratteristiche ivi presupposte.

Beninteso. Nella versione pure anche il prospective overruling è un vero e proprio obiter.

Ciò non basta tuttavia ad accomunare l’esperienza d’oltreoceano a quella domestica chiamandole nello stesso modo perché diversi, ed irriducibili, ne restano i presupposti. Lì vi è la trasformazione artificiale di una ratio decidendi in obiter di talchè, in assenza di quella scelta, il caso sarebbe deciso in base all’overruling ed avrebbe un opposto esito. Qui, al contrario, ratio decidendi ed obiter seguono dall’inizio strade separate: se la Cassazione non dettasse alcun obiter il segno della decisione sul ricorso non muterebbe perché ispirato alla propria naturale ratio.

Ne consegue che il tema che si pone nell’esperienza domestica[20] non è quello di una decisione dichiaratamente assunta in applicazione di un parametro decisorio (regola overruled) diverso da quello che sarebbe applicabile al caso (overruling), con le relative implicazioni in termini di pesante alterazione del rapporto tra il giudice e le norme di diritto.[21]

Al contrario, siamo al cospetto di una dinamica che, quantomeno nell’ottica della ineliminabilità dell’evoluzione ermeneutica,[22] appartiene pur sempre alla fisiologia dell’ordinamento. Si tratta cioè del rapporto del giudice di merito davanti al quale pendono processi in cui emergono le caratteristiche presupposte dall’obiter, e della stessa Cassazione chiamata a decidere altri e/o successivi ricorsi, ed il nuovo orientamento giurisprudenziale. Un rapporto che implica, nella realtà applicativa, una duplice valutazione: quella della condivisibilità/persuasività dei nova quale base dell’applicabilità ai processi pendenti; e, in caso di esito positivo, se esista, e come vada eventualmente tutelato, l’affidamento della parte che ha improntato la propria condotta processuale all’orientamento più permissivo invalso al momento in cui ha agito. [23]

Perciò quella oggi a tutti nota come lezione pretoria del prospective overruling[24] non è, come accade nell’ordinamento statunitense, una scelta maturata ad hoc in sede di decisione di un caso, cioè nel momento stesso in cui la regola viene sovvertita, e che pur sempre nelle peculiarità di quel caso affonda, tutto sommato, le sue radici.[25]

Al contrario, è solo una teorizzazione postuma che aspira alla generalizzazione e che, in sede di decisione di altri ricorsi aventi le caratteristiche presupposte dagli obiter in cui è maturato il mutamento di giurisprudenza, serve ad un solo scopo: giustificare, posta la condivisibilità/persuasività dei nova e dunque la loro applicabilità,[26]proprio la scelta di tutelare quell’incolpevole affidamento.[27]

Neppure mi pare, d’altra parte, che la situazione domestica possa sovrapporsi alla versione limited della tecnica statunitense. Nell’esperienza della Cassazione civile infatti l’obiter presuppone l’esistenza di varianti anche significative rispetto al caso deciso (ed alla sua ratio). Ne consegue che anche la proiezione verso futuri processi, piuttosto che verso quelli già pendenti, si giustifica non per scelta selettiva della Corte ma, ancora una volta, nella misura in cui vi si rintraccino quelle caratteristiche aggiuntive o diverse che l’obiter in cui è trasfuso il mutamento di giurisprudenza presuppone e la ratio decidendi del ricorso in concreto deciso invece no.

La confusione e indebita sovrapposizione è dunque evidente anche se presumibilmente favorita da un concorso di fattori, primo fra tutti quello di un sistema che esaspera la pronuncia di principi di diritto svincolati dalla decisione del ricorso.[28] A questo si affianca un problema antico, quello della tecnica di massimazione delle sentenze per enunciati generali ed astratti che imitano la struttura della norma di legge e sono totalmente avulsi dai fatti di causa.[29]

Massime che, oltretutto, neppure segnalano la provenienza da ratio decidendi o obiter, impedendo la comprensione della realtà se non si accede alla lettura integrale delle sentenze.[30]

 

3.1.- Segue: …l’inesorabile allontanamento dalla logica originaria e il ruolo della rimessione in termini

 

All’impatto con la giurisprudenza civile, il prospective overruling cambia dunque pelle allontanandosi in modo sostanziale dal significato tecnico-giuridico che assume nell’ordinamento che lo ha forgiato.

Simbolo di questa trasformazione è ancora una volta la lezione della Cassazione che ha fino ad ora sovrapposto proprio il prospective overruling alla rimessione in termini, affermando o sottintendendo che quest’ultima sarebbe mezzo al fine della realizzazione del primo.[31]

Premessa dalla quale deriva poi che, essendo la rimessione in termini istituto processuale, anche il prospective overruling si verificherebbe solo quando il mutamento di giurisprudenza consolidata attenga all’interpretazione di una norma processuale.[32]

La conclusione è tuttavia a dir poco sorprendente sotto un duplice profilo: alla luce dell’ordinamento di provenienza, dove il prospective overruling attiene normalmente proprio al merito; perché quest’ultimo esprime un nuovo orientamento che vale solo per il futuro laddove la rimessione in termini presuppone, al contrario, che il nuovo orientamento sia applicato retrospettivamente e punta a valorizzare le ragioni della parte che dimostri l’incolpevole affidamento sull’interpretazione oramai superata.[33]

Sia pure tra equivoci ed indebite sovrapposizioni che segnano il massimo distacco del prospective overruling “civile” da quello dell’ordinamento di provenienza, e che fanno oggi della locuzione nulla più che una convenzione linguistica, occorre però rimarcare il vero dato dirimente.

E cioè che la giurisprudenza di legittimità gestisce con grande ragionevolezza un tema obiettivante scottante[34]: quello appunto dell’impatto sistemico del repentino ed imprevedibile mutamento di interpretazione di una norma processuale.

La soluzione della Cassazione si inserisce infatti a pieno titolo nelle dinamiche fisiologiche dell’ordinamento quando individua il rimedio, e la necessità di un suo uso molto cauto, nella rimessione in termini ex art. 153, c. 2, c.p.c.

L’istituto infatti: a) presuppone la natura dichiarativa del mutamento di giurisprudenza e dunque la sua fisiologica applicabilità[35] anche ai processi in cui la parte ha improntato la sua condotta all’orientamento sovvertito (secondo il corretto rapporto tra giudice e norme di diritto); b) pone questioni di fatto da valutare caso per caso e non in base ad una aprioristica “irretroattività”: la parte che invoca l’affidamento incolpevole è onerata della relativa prova nel contraddittorio della controparte; c) ha natura bilaterale non solo perché presuppone in ogni snodo il contraddittorio ma anche perché se una parte è rimessa in termini anche l’altra rientra in poteri e facoltà che non avesse eventualmente esercitato limitandosi ad eccepire la altrui decadenza alla luce dei nova giurisprudenziali.[36]

In sintesi. La rimessione in termini, valvola di sicurezza del sistema, mostra nel contesto esaminato tutte le sue potenzialità.

Da un lato contempera la ineliminabilità dell’evoluzione giurisprudenziale e l’aspirazione alla certezza delle regole processuali insita nel concetto di “affidamento” su una consolidata interpretazione delle stesse. Dall’altro disinnesca, con la sua struttura bilaterale,[37] la mina vagante celata dalla tutela dell’affidamento incolpevole: il rischio cioè di privilegiare una parte, quella che aspira a mantenere l’orientamento consolidato appunto, a scapito della controparte che confida invece nel mutamento, facendo perdere al giudice la sua terzietà/imparzialità.

3.2.- Rimessione in termini vs ius superveniens irretroattivo: due (opposti) modi di gestire il cambiamento

Il senso di quest’ultima affermazione ben si presta ad essere chiarito alla luce di un altro possibile modo di gestire il mutamento repentino di giurisprudenza. L’idea[38] è segnatamente quella di considerarlo quale ius superveniens irretroattivo, con la conseguenza di escluderne sempre ed automaticamente l’applicazione a tutti i processi in cui l’agire si è conformato al precedente consolidato orientamento.

Ora, ragionare in questi termini significa in buona sostanza questo. Posto che i nova interpretativi precluderebbero il diritto di azione o di difesa alla parte che ha improntato la propria condotta al precedente orientamento, e che d’altra parte proprio il carattere consolidato di quest’ultimo depone per la buona fede della parte fondandone l’“affidamento”, appare giusto ed equo escludere che i nova stessi si applichino quale parametro di giudizio, ex post, di una condotta che, quando fu tenuta, appariva ragionevolmente secundum ius. Si tratta di applicare insomma ai nova interpretativi il vieto canone di diritto intertemporale tempus regit actum (art. 11, c. 1 Preleggi).[39]

Ma il punto è proprio questo. Il diritto intertemporale è prerogativa del solo legislatore perché solo costui può compiere scelte di valore, che implicano la prevalenza di un interesse su altri, a monte della legge e che solo poi traduce in legge, dalla cui ratio traspaiono. Che il giudice non possa fare il legislatore ma sia sottoposto alla legge, e che l’interpretazione abbia carattere dichiarativo, non è dunque una vuota formula. Significa invece, o almeno così a me pare,[40] che intanto il giudice stesso può compiere scelte di prevalenza di una posizione giuridica sull’altra restando al contempo imparziale, in quanto le radichi nella ratio legis, sia in grado cioè di giustificarle (persino tradendone, come sempre più spesso accade, il significante) alla luce del testo normativo. Non così se egli, come fa il legislatore, prima sceglie la parte da tutelare, in thesi chi si è conformato al precedente orientamento, e solo poi, e di conseguenza, il parametro da applicare, in thesi l’orientamento sovvertito.

Privilegiare sempre e comunque l’affidamento di una parte sul vetus significa infatti tradire sempre e comunque le aspettative dell’altra verso il mutamento, obliterando che il mutamento stesso è parte fisiologica del sistema non meno che la certezza delle regole (anche del processo).[41]

In questo risiede dunque la più marcata differenza tra questo modo di farsi carico delle conseguenze del mutamento di giurisprudenza e la soluzione della rimessione in termini ex art. 153, c. 2, c.p.c., alfine prevalsa in giurisprudenza.[42]

4.- Prospective overruling e giurisprudenza amministrativa: (quasi) tutta un’altra storia

Decisamente più complesso si mostra invece il rapporto tra la giurisprudenza amministrativa ed il prospective overruling.

Vi sono infatti casi in cui l’Adunanza plenaria adotta, sulla scia della Cassazione, la nozione domestica di prospective overruling e chiarisce, ad esempio, che il principio di diritto che essa enuncia[43] ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 4, c.p.a. è, in virtù del carattere dichiarativo e non normativo dell’interpretazione giurisprudenziale, ratio decidendi e come tale da porre a base della decisione (nella specie di accoglimento dell’appello) che essa stessa adotta in via definitiva.[44]

Siamo dunque, al di là della già rilevata confusione indotta dalla sovrapposizione con il concetto tecnico- giuridico di prospective overruling statunitense, entro i confini di un corretto rapporto tra il giudice ed il parametro della decisione (le norme di diritto).

 

 

4.1.- Segue. Cons. Stato n. 2268/ 2018

Diverso scenario, e ben altre implicazioni, schiude invece l’esame di alcune pronunce in cui il Consiglio di Stato si appropria della logica originaria ed autentica del prospective overruling e ne fa un uso spregiudicato.[45]

Chiamato a decidere l’appello della parte pubblica[46]contro una sentenza che aveva annullato il diniego di immatricolazione di uno studente da parte del Rettore, il Consiglio di Stato ricostruisce la normativa applicabile ed arriva alla conclusione che l’appello è senz’altro fondato e va accolto.

A questo punto però, dopo un percorso motivazionale limpido e fisiologico, inizia la deviazione verso un esito inaspettato.

Premessa l’adesione all’orientamento secondo il quale “(…) il giudice amministrativo – anche in sede di cognizione – nell’esercizio dei propri poteri conformativi può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto, tenendo conto della normativa applicabile nella materia in questione e dell’esigenza che non si producano conseguenze incongrue o asistematiche (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2018, n. 2133; Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13; Sez. VI, n. 2755 del 2011) (…)”, il Collegio accoglie l’appello ma stabilisce al contempo che “(…) il principio di diritto che ne deriva non incide pregiudizievolmente sulla situazione concreta dell’appellato”.

Ciò in considerazione del fatto che nelle more della definizione del giudizio di secondo grado lo studente aveva quasi concluso il corso di studi facendo affidamento in buona fede sulla sentenza di primo grado. Tale affidamento andava dunque tutelato spostando appunto gli effetti della decisione ai soli futuri giudizi.

Ebbene, qui le caratteristiche del prospective overruling statunitense ci sono, a mio avviso, tutte, malgrado nessun riferimento esplicito si faccia ad esso nella sentenza.

Il Giudice Supremo decide infatti una controversia trasformando artificialmente la ratio decidendi (l’impossibilità di procedere ad immatricolazione in base alla normativa da esso stesso ritenuta applicabile) in obiter, così ribaltando l’esito naturale che il giudizio avrebbe dovuto avere (il travolgimento del percorso di studi già intrapreso in esito alla soccombenza dell’appellato studente).[47]

Il tutto in base a valutazioni che prescindono dalla normativa dichiaratamente applicabile. E’ significativo il passaggio per il quale il giudice amministrativo “(…) può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto, tenendo conto della normativa applicabile nella materia in questione e dell’esigenza che non si producano conseguenze incongrue o asistematiche (…)”. La normativa applicabile diviene insomma solo uno, e neppure determinante, dei parametri alla stregua dei quali decidere la controversia!

Suggestiva ma insostenibile risulta, del resto, la giustificazione della scelta in termini preteso di contemperamento dell’interesse della parte pubblica, asseritamente soddisfatto solo dal principio di diritto degradato ad obiter, e dunque proiettato al futuro, e l’affidamento dello studente sul decisum di prime cure.[48]

E’questa infatti una logica compromissoria e paraconciliativa che non si addice alla risoluzione eteronoma della controversia per la semplice ragione che l’obiter è per sua natura non vincolante per nessuno. Beninteso. Immesso nel circuito giuridico esso orienta, data la sua provenienza dal massimo giudice, le decisioni della giurisprudenza successiva non meno che l’agire della pubblica amministrazione. Ma né i giudici delle future eventuali controversie né i cittadini né la stessa pubblica amministrazione possono dirsene vincolati in senso tecnico.

E tale situazione di certo non cambia decidendo il ricorso in base alla trasformazione della sua ratio decidendi in obiter.[49] Qui dunque il risultato reale non persegue alcuna pretesa ragione di equità solo assecondando la scelta del Giudice Supremo che prima individua la parte da tutelare e poi sceglie la normativa più confacente allo scopo.

 

4.2.- Segue. A.P. n. 13/2017

Sia pure con significative varianti, e diversi esiti concreti, la logica del prospective overruling nella sua versione autentica è protagonista di un’altra vicenda in cui l’intervento dell’Adunanza Plenaria[50] ha suscitato, ben a ragione, un grande dibattito e che per le sue caratteristiche merita qui di essere ripercorsa.

Nella specie il Plenum era stato chiamato a comporre il contrasto maturato tra le sezioni semplici in ordine alla sorte delle proposte di vincolo paesaggistico mai seguite dalla finale dichiarazione di pubblico interesse, a cavallo del passaggio dalla vecchia normativa al d.lg. n. 42/2004 (e succ. mod e int).

Il Collegio, discostandosi dall’orientamento maggioritario, enunciava il seguente principio di diritto:  “Il combinato disposto – nell’ordine logico – dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo – come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 – cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni».

Una tale interpretazione della normativa applicabile avrebbe decretato, ove in concreto posta a base della decisione, l’accoglimento dell’appello proposto dalla società ricorrente, che aveva appunto impugnato la sentenza di primo grado che invece aveva (respinto il suo ricorso perché) ritenuto la presenza di una mera proposta di vincolo, mai seguita dalla conclusione del procedimento, come ostativa di per sé al rilascio dell’autorizzazione per la costruzione di un impianto proprio in ragione del permanere, sul territorio di riferimento, delle misure di salvaguardia ad essa connesse.

Il termine di efficacia di tali misure di salvaguardia (180 giorni decorrenti, per le proposte anteriori al Codice, dall’entrata in vigore – ad opera del d.lgs. 63/2008 – dell’attuale testo dell’art. 141, comma 5, che tale decadenza commina, ovvero, ancor prima, per effetto del d.lgs. 157/2006, che l’aveva introdotta) era infatti, secondo la stessa ricostruzione del Plenum, già decorso.

Posto però che l’applicazione del principio di diritto al  processo in corso avrebbe comportato la cessazione delle misure di salvaguardia collegate a proposte di vincolo pendenti da anni, lasciando senza protezione aree di significativo interesse culturale e paesaggistico, il Plenum stabiliva che a sé stesso, in un contesto di incertezza interpretativa, “è concessa la possibilità di limitare al futuro l’applicazione del principio di diritto al verificarsi delle seguenti condizioni: a) l’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare; b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata; c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche.”

Ne conseguiva che il termine di efficacia del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, quale quella del caso di specie, veniva fatto decorrere non secondo il suo naturale iter (pure compiutamente individuato) ma solo dalla data di pubblicazione della sentenza, mentre la decisione del ricorso veniva rinviata alla Sezione remittente.[51]

E’ agevole individuare la logica autentica ed originaria del prospective overruling statunitense: il Giudice Supremo individua la pertinente normativa ma, verificato che la sua applicazione nel processo pendente avrebbe ricadute di sistema ritenute intollerabili, ne sposta artificialmente “in avanti” l’applicazione gettando le basi della soccombenza dell’appellante che invece, proprio alla luce del(l’eventuale applicazione concreta del) principio di diritto enunciato, avrebbe potuto verosimilmente risultare vincitore. Il richiamo espresso a questo istituto operato dalla sentenza non è dunque mera clausola di stile ma illustra la logica che ne plasma percorso e scelte.[52]

Poiché però il Plenum rimette la decisione del ricorso alla Sezione mentre invece il prospective overruling “originale” si verifica solo in sede di decisione di un caso,[53]la tecnica motivazionale illustrata, e dunque la enunciazione del principio di diritto, finisce con l’essere in concreto solo un elemento di una più ampia fattispecie. Il cui completamento, esso sì inverante la tecnica statunitense, potrebbe aversi solo laddove il principio di diritto stesso fosse contestualizzato e posto dalla Sezione a base della decisione, così trasformando una vittoria secondo la normativa dichiaratamente applicabile in una sconfitta in esito alla sua inapplicazione concreta.[54] Nella vicenda giudiziaria narrata tutto ciò non è avvenuto: nel corso del giudizio riassunto davanti alla Sezione remittente, la sopravvenuta dichiarazione di notevole interesse pubblico delle aree rispetto alle quali l’appellante aveva in origine chiesto l’autorizzazione per la costruzione degli impianti aveva determinato la dichiarazione di improcedibilità dell’appello per carenza di interesse.[55]

Qui dunque gli effetti distorsivi prodotti dalla pronuncia descritta nel precedente § non si sono in concreto verificati. Nondimeno, sono proprio gli sviluppi concreti della vicenda giudiziaria a mettere in luce la fallacia, e la pericolosità, delle premesse di metodo da cui parte il Plenum nella sentenza n. 13/2017.

La logica del prospective overruling statunitense sembra infatti al giudice l’unica in grado di scongiurare i gravi effetti di sistema a suo dire derivanti dall’applicazione del principio di diritto enunciato al giudizio in corso: “(…) è necessario, a tutela del paesaggio, evitare la cessazione istantanea di tutti i vincoli preliminari attualmente esistenti su aree di interesse naturalistico o culturale”, si legge infatti nella sentenza.

Ma perché mai tali effetti avrebbero dovuto ritenersi obbligati?

Il principio di diritto da essa enunciato è, negli stessi precedenti della Plenaria, privo di efficacia di giudicato ed inidoneo perciò a creare un vincolo endoprocedimentale persino per la Sezione chiamata a decidere la controversia, posto che “(…) l’attività di contestualizzazione e di sussunzione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria ai sensi dell’articolo 99, comma 4 c.p.a. in relazione alle peculiarità del caso concreto spetta alla Sezione cui è rimessa la decisione del ricorso”[56]. Men che mai potrebbe dunque vincolare i giudici degli altri processi già pendenti (rendendo scontato l’esito delle decisioni) o futuri, se non nella fisiologica misura in cui una pronuncia dell’organo nomofilattico orienta la giurisprudenza successiva e l’amministrazione stessa, oltre che i cittadini.[57]

Ne è testimonianza ancora una volta la realtà di una giurisprudenza amministrativa[58] che non esita a discostarsi dalla logica del prospective overruling utilizzata dal Plenum nel 2017 proprio in base all’assunto che “(…) la  limitazione pro futuro degli effetti della sentenza interpretativa dell’adunanza plenaria equivale alla creazione di una norma transitoria, in funzione para-normativa, che non può vincolare il giudice di primo grado, in quanto recessiva rispetto al principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101 Cost. (…)”.

Ma prima ancora. Perché mai la eventuale decadenza dei vincoli di salvaguardia (anche solo) nel caso deciso avrebbe dovuto essere una preoccupazione del giudice posto che egli stesso aveva stabilito: a) che la normativa come interpretata puntava a  “(…) indurre l’amministrazione ad un più tempestivo intervento, eliminando la possibilità di premiare, attraverso la permanenza degli effetti della proposta, l’inerzia dell’amministrazione medesima, senza precludere, pur dopo i 180 giorni, la possibilità di un suo intervento (…)”; b) che ratio ne era un bilanciamento di interessi tale da rendere l’interpretazione prescelta razionale ed incongrua invece quella ripudiata?

Come avrebbe mai potuto profilarsi “(…) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche” al di là ed oltre quanto stabilito dalla legge per come dal suo più qualificato interprete ricostruita?

Perché verrebbe da pensare che, se le conseguenze della normativa applicabile sono così devastanti nella interpretazione fornitane dal massimo giudice, è l’interpretazione a dover essere ripudiata o, ricorrendone i presupposti, il quadro normativo a dover essere rimesso al giudizio di costituzionalità interno o di compatibilità con la normativa europea…

Ancora una volta la risposta è dunque una sola: il giudice prima sceglie, in base a valutazioni sfuggenti e solipsistiche, l’interesse da tutelare e solo poi la disciplina da applicare.

 

4.3.- Segue. A. P. nn. 17 e 18/2021

Sfumature ancora diverse presenta, infine, la nota vicenda che ha condotto alle due sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021[59], che ben a ragione hanno suscitato un enorme dibattito ancora di forte attualità.[60]

In entrambi i casi il Plenum, investito ai sensi dell’art. 99, comma 2, c.p.a. ha affermato che le norme legislative nazionali di proroga automatica e generalizzata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, (compresa la moratoria introdotta per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020), sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione, dovendo escludersi che gli attuali concessionari vantino alcun diritto alla prosecuzione del rapporto in virtù di proroghe legali generalizzate.

Nel rimettere la decisione al giudice in concreto investito dell’appello, l’Adunanza plenaria ha però stabilito altresì che onde “evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere”, e in considerazione “dei tempi tecnici” necessari per espletare le procedure competitive ai sensi del sopra citato art. 12 della direttiva 2006/123/CE (…)” le concessioni “già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023”.

Anche in questo caso dunque la logica del prospective overruling statunitense traspare, sia pure in controluce, dal contrasto interno alla motivazione tra: a) la ricostruzione della normativa applicabile, addirittura confliggente con il diritto europeo, che rende legittimo il diniego di proroga da parte dell’amministrazione e inesistente ogni pretesa in senso opposto dei concessionari, anche attuali; e b) la valutazione esterna di “significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere”, qui addirittura espressamente riferita non al solo giudizio in corso ma all’ordinamento nel suo complesso. Valutazione che a sua volta porta alla scelta di lasciare in vita le concessioni già in essere, pure dichiaratamente illegittime, fino ad una data scelta discrezionalmente (31 dicembre 2023).

Ed anche in tal caso del prospective overruling statunitense vi è solo la logica motivazionale del Plenum, posto che la decisione del ricorso viene rimessa ai giudici investiti dell’appello dando luogo ad un duplice sviluppo.

In un caso[61] l’appello, proposto dalla parte pubblica avverso la sentenza di prime cure che aveva annullato il diniego di proroga della concessione che l’amministrazione stessa aveva motivato proprio in base al contrasto con la normativa europea, viene accolto in modo secco con riforma della sentenza di primo grado che aveva invece giudicato legittima la proroga: “(…) In applicazione dei principi di diritto enunciati dall’Adunanza plenaria, l’appello del Comune (…) deve quindi essere accolto, dal momento che, come in esso si afferma, il ricorrente non poteva beneficiare della proroga della propria concessione ai sensi dell’ art. 1, comma 682, della L. 30 dicembre 2018, n. 145, giudicata in sede nomofilattica contraria al diritto dell’Unione europea e dunque disapplicabile, anche dall’amministrazione concedente. In questa linea il diniego impugnato, fondato proprio sulla prevalenza del diritto sovranazionale, è pertanto legittimo”.

Nell’altro caso[62]l’appello, proposto invece dal titolare di concessione demaniale ancora in essere, avverso la sentenza di prime cure con la quale era stato confermato il diniego di estensione della validità della concessione demaniale marittima, ai sensi della legge 30 dicembre 2018, n. 145, viene respinto.

Tanto proprio in ragione del contrasto con la normativa eurounitaria delle proroghe previste dalla legislazione interna invocata, dovendosi ritenere legittimo il provvedimento di diniego adottato dalla parte pubblica. E tuttavia: a) avendo il Plenum anche affermato che “le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023 (…)”; b) e tenuto conto che l’attività dell’appellante (concessionario in essere) non si era mai interrotta, “il Collegio accoglie parzialmente la domanda di accertamento del diritto formulata con il ricorso introduttivo e, come esplicitamente richiesto in subordine da parte appellante, accerta l’efficacia della concessione demaniale marittima (…)sino al 31 dicembre 2023”.

Il duplice sbocco decisorio della vicenda è significativo, e ne giustifica una ricognizione in questa sede, per un duplice motivo. Da un lato dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, che gli stessi principi di diritto attecchiscono in modo diverso nei giudizi ai quali vanno applicati, in ragione delle relative peculiarità.

Dall’altro evidenzia come nel caso da ultimo esaminato la circostanza di una concessione già in essere, assente invece nel primo caso, abbia determinato un esito decisorio che, sia pure ad efficacia limitata nel tempo, invera la tecnica originale del prospective overruling. E ciò nella misura in cui sancisce la permanenza in vita di una concessione che, proprio secondo il quadro normativo ricostruito dal suo massimo interprete, è illegittima per contrasto con il diritto dell’Unione, così trasformando una soccombenza totale in una parziale vittoria.

Anche in questo caso l’impatto pratico del prospective overruling si è rivelato, tutto sommato, piuttosto limitato. Gli effetti distorsivi sulla vicenda giudiziaria concreta sono infatti a tempo mentre la proiezione esterna dei principi di diritto che hanno sancito la sopravvivenza delle concessioni in essere ha la sola efficacia di orientamento già descritta, incapace di vincolare e/o conformare, quantomeno in senso tecnico, le scelte dell’amministrazione e men che mai degli organi legislativi.

A questo limitato impatto pratico corrisponde tuttavia, con una singolare inversione rispetto a quanto accaduto nel primo caso descritto,[63] un innalzamento del livello di ineffabilità dei motivi a sostegno del principio di diritto. Entra nel processo, a condizionarne il possibile fisiologico esito, la valutazione di generali effetti di sistema, esasperandosi quella logica compromissoria e paraconciliativa[64] già rilevata nel precedente del 2017 e del tutto estranea alla risoluzione eteronoma della controversia per le ragioni già evidenziate.

5.- Qualche finale riflessione (a margine del dibattito su una “celebre dottrina”)

Pur in un contesto generale oramai da tempo orientato al crescente ed incontrollato “creazionismo giudiziario”,[65] (una parte del)la giurisprudenza amministrativa segna un deciso cambio di passo.

Nelle pronunce esaminate[66] il supremo giudice amministrativo individua la regula della controversia sub iudice ma ne esclude al contempo l’applicazione concreta in ragione dell’intollerabilità degli effetti, a volte sul solo ricorso deciso a volte addirittura di sistema. Egli manipola dunque non gli effetti della sentenza, come vorrebbe lo stereotipo motivazionale della “modulazione”, ma l’applicabilità della normativa sostanziale pure da lui stesso individuata ed interpretata.

Ma se la proiezione al futuro del principio di diritto è tutto sommato fisiologica perché per sua stessa natura si stempera nel flusso dell’ordinamento orientando senza vincolare i successivi giudici né tantomeno il legislatore, non così accade per la decisione dei ricorsi.

Autoattribuendosi questa prerogativa il giudice supremo altera infatti, o getta le basi per alterare[67], le sorti del giudizio. E tanto fa individuando l’interesse da tutelare (con prevalenza sull’altro) non in base alla ratio legis da lui stesso ricostruita quale massimo interprete delle norme di diritto, ma a valutazioni solipsistiche dai contorni sfuggenti se non proprio apodittiche.[68]

Così facendo si appropria però delle prerogative del legislatore che prima sceglie i valori e gli interessi da tutelare e poi trasfonde nelle norme di diritto tali scelte, anche stabilendo il dies a quo di applicabilità di quelle disposizioni.

Nel cono d’ombra del prospective overruling come inteso dal Consiglio di Stato[69] si nasconde, infatti, proprio la logica del diritto transitorio con cui il legislatore dirige il decorso dei nova. Le ragioni della sua natura patologica, e della sua assoluta insostenibilità, sono dunque le stesse che portano ad escludere che il mutamento di orientamento giurisprudenziale possa trattarsi alla stregua di ius superveniens irretroattivo (supra, § 3.2).

L’unico modo che il giudice ha per far prevalere, nel processo, una posizione giuridica sull’altra senza perdere l’imparzialità è quella di radicare quella prevalenza nelle norme di diritto come da lui stesso individuate ed interpretate. Sicchè, dato un approdo interpretativo, le relative conseguenze devono ritenersi comunque secundum ius.[70]Se così non è vuol dire che l’interpretazione deve mutare o la normativa essere sottoposta a controllo di legittimità costituzionale o compatibilità con le fonti eurounitarie.

Non si può, invece, individuare la normativa applicabile e al contempo non applicarla in ragione di pretesi effetti intollerabili perché ciò vuol dire, appunto, prima scegliere l’interesse da tutelare dichiaratamente in sostituzione del quadro normativo di riferimento, e solo poi la (diversa) normativa applicabile. Significa cioè agire da legislatore.

Il tutto, per di più, in assenza di quei rigidi meccanismi di self restraint applicati dalle Corti Supreme cui la tecnica del (pure) prospective overruling si deve.

Per concludere (a margine della rilettura di una “celebre dottrina”).[71]

Se il processo si nutre del contraddittorio, e se tale contraddittorio, per essere in condizioni di parità, è specchio e garanzia di un giudice terzo ed imparziale, tale imparzialità si nutre, a sua volta, di un corretto rapporto tra giudice e norme di diritto. Solo riconducendo le ragioni della vittoria e della soccombenza a queste ultime il giudice tratta le parti in modo equidistante: solo così il processo esprime, secondo la sua natura, un judicium. Oltre quella soglia si schiude invece l’arbitrio di un decisore parziale contro cui nulla può il rispetto esteriore del contraddittorio e delle sue regole: il processo si è, in definitiva, già dissolto nella nuda machinery del procedimento.[72]

[1] Saitta F., Interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, Napoli, 2023.

[2] Saitta F., Interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, cit., 459 ss.

[3] Ma praticato, sia pure con diversa intensità e limiti, anche in Europa continentale ed in America Latina: v. amplius Passanante, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giurisprudenziale nel processo civile, Torino, 2018, 285 ss.

[4] B.H. Levy, Realist Jurisprudence and Prospective overruling, in 109 Un. Penn. L. R., 1960, 1 ss; la stessa definizione leggo, come dirò in seguito, in Cons. Stato, A.P. n. 13 del 2017.

[5] Passanante, Il precedente impossibile, cit., 277, ove anche l’indicazione di un diverso tipo di p.o. proposto in una causa di alcuni anni fa dall’Avvocato Generale Jacobs presso la Corte europea di Giustizia.

[6] Sul tema della “direzione” del precedente, che nasce solo se i successivi giudici ne fanno applicazione, v., per tutti, l’oramai classico studio di Taruffo, Note sparse sul precedente giudiziale, in Riv. trim. dir proc. civ., 2018, 480, nonché amplius Passanante, spec. 254 ss. Quest’ultimo A., si fa altresì carico di illustrare le difficoltà insite nella distinzione, ai fini della estensione del precedente, tra obiter e ratio decidendi e mette opportunamente in luce come i giudici statunitensi, proprio come quelli inglesi, siano dotati di un ricchissimo strumentario tecnico per escludere che un caso debba decidersi in base ad un precedente se non lo ritengono adeguato, pur senza sovvertirlo: v., per questi complessi profili che qui possono solo sfiorarsi, i rilievi sulle pretese differenze tra precedente persuasivo e precedente vincolante, 197 ss e 242 ss. V. altresì in generale, su questo intreccio di temi, Mattei, Precedente giudiziario e stare decisis, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), IV ed., Torino, 1996, XIV, 151 ss; ID, Stare decisis: il valore del precedente giudiziario negli Stati Uniti d’America, Milano, 1988; Varano –Barsotti, La tradizione giuridica occidentale. Testo e materiali per un confronto civil law common law, V ed., Torino, 2014, 289 ss; Monateri, Il precedente in Inghilterra, in Lo stile delle sentenze e l’utilizzazione dei precedenti. Profili storico-comparatistici. Seminario ARISTEC – Perugia, 25-26 giugno 1999, a cura di Vacca, Torino, 2000, 103 ss; Cross –Harris, Precedent in English Law, IV ed., Oxford University Press, 1991; Duxbury, The Nature and Authority of Precedent, Cambridge University Press, 2008.

[7] Se non ci fosse quella scelta, il caso avrebbe infatti avuto un esito ribaltato perché sarebbe stato deciso in base all’overruling che ne costituisce la ratio.

[8] Parla condivisibilmente di degradazione della ratio ad obiter Passanante, Il precedente impossibile, cit., 306.

[9] Questa intima contraddizione emerge già dagli atti processuali del caso Great Northern Ry. Co. v. Sunburst Oil & Refining Co. 287 U.S. 358 (1932), in cui la Corte Suprema Federale venne chiamata a valutare la compatibilità costituzionale del (pure) prospective overruling praticato dalla Corte Suprema dello Stato del Montana. Ricostruisce la vicenda Passanante, Il precedente impossibile, cit., 280 ss., attraverso il passo della motivazione con cui il giudice Cardozo sostenne addirittura la necessità che le Corti dei singoli Stati limitassero l’efficacia retrospettiva dell’overruling in presenza di conseguenze ritenute troppo gravi, ferma comunque la loro facoltà di applicare l’istituto ove ritenuto opportuno. La stessa contraddizione fonda lo storico ripudio della tecnica in Inghilterra: sancire la vigenza di una nuova regola per il futuro al contempo applicando la vecchia nel caso sub iudice malgrado non sia più ritenuta corretta, appare incompatibile con il ruolo riconosciuto al giudice in Inghilterra. Ancora, sul punto, Passanante, Il precedente impossibile, cit., spec. 284.

[10] E privo di copertura costituzionale se non per le leggi penali, tanto nel nostro ordinamento quanto in quello federale statunitense: amplius Passanante, Il precedente impossibile, cit., 273 ss.

[11] V. le considerazioni generali di Capponi-Tiscini, Introduzione al diritto processuale civile, Torino, 2022, spec. 158 ss.

[12] Riflette sulle basi del power of overrule della Corte Suprema Federale, e delle ragioni che giustificano l’overruling come illustrate nella recente pronuncia sulla legittimità costituzionale della legge del Mississipi limitativa del diritto di aborto, Auletta, Procedural data mining from “Dobbs”: ovvero cosa può insegnare agli studiosi di diritto processuale la nuova decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti sul diritto all’aborto, in Il processo, 2022, 735 ss.

[13] Si tratta, segnatamente, del cd. Chevron Oil test, elaborato in riferimento a Chevron Oil Co. vs. Huson, 404, US 97 (1971) ed a mente del quale per ottenere di limitare l’applicazione dell’overruling ai soli casi futuri vanno valutati i seguenti aspetti: a) se l’overruling che dovrebbe essere applicato ai soli casi futuri stabilisca un nuovo principio di diritto (vuoi sovvertendo un precedente orientamento vuoi decidendo una questione obiettivamente nuova); b) se i nova ritardino o rinviino le proprie ricadute applicative ove applicati al caso sub iudice; c) se l’applicazione al caso da decidere comporti conseguenze ingiuste.

[14] Per un coacervo di ragioni tra cui spicca il carattere privo di legittimazione democratica della Supreme Court e prima ancora della House of Lords in funzione di Corte Suprema. Su questi profili si sofferma Passanante, Il precedente impossibile, cit., 284 ss

[15] Sia in dottrina che nella stessa giurisprudenza a far data dal 2010, come rileva Passanante, Il precedente impossibile, cit., 273 ss, che parla di “invenzione in senso etimologico, in quanto la giurisprudenza ha “trovato” l’istituto nel diritto straniero, ma invenzione anche in senso non etimologico, perché, nel farne applicazione nel nostro ordinamento, i giudici ne hanno, appunto, inventato una versione parzialmente diversa”.

[16] Ricostruisce la casistica Verde, Mutamento di giurisprudenza e affidamento incolpevole (considerazioni sul difficile rapporto fra giudice e legge), in Riv. dir. proc., 2012, 6 ss. Così è accaduto, ad esempio, nel caso deciso da Cass, S.U. 3 settembre 2009, n. 19161, in Giur. It., 2010, 168, con nota di Carluccio, per la quale il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pronunciati sulle opposizioni alla liquidazione di compensi agli ausiliari del giudice e ai custodi, nonché ai difensori nominati al patrocinio a spese dello stato, deve essere assegnato comunque alle sezioni civili, anche se la decisione gravata venne pronunciata da magistrati addetti al servizio penale. Nel caso deciso l’opposizione era stata trattata da magistrati civili e il ricorso indirizzato alle sezioni civili, secondo il pacifico orientamento invalso fino a quel momento. Il mutamento di giurisprudenza era dunque maturato in obiter (nella specie il ricorso era stato esaminato nel merito e rigettato).Veniamo al caso celeberrimo di Cass., S.U. 9 settembre 2010, n. 19246, in cui la Corte ha (discutibilmente) sovvertito il precedente consolidato orientamento per il quale la dimidiazione dei termini di costituzione dell’opponente nell’opposizione a decreto ingiuntivo si applicava solo in caso di assegnazione all’opposto di un termine per comparire inferiore a quello minimo legale. Nel caso deciso infatti il termine a comparire assegnato dall’opponente era inferiore a quello legale, sicché l’affermazione secondo la quale il termine di costituzione è dimezzato anche nelle ipotesi in cui quello di comparizione sia uguale o superiore a quello ordinario costituisce un mero obiter dictum. Lo stesso è a dirsi per Cass. S.U. 30 marzo 2010 n. 7607, in Foro it., 2011, I, 546, che ha “anticipato” il dies a quo del termine breve per l’impugnazione dinanzi alle Sezioni Unite delle sentenze del Tribunale Superiore delle acque pubbliche, sino ad allora – con orientamento consolidato – individuato nella notifica a cura del cancelliere della copia integrale del dispositivo fatta successivamente alla restituzione del provvedimento ad opera dell’Ufficio del registro (art. 183 R.D. n. 1775/1933), ed in quella sentenza anticipato invece al momento della notifica di quel medesimo dispositivo a prescindere dall’avvenuta registrazione. Qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso contro la decisione del TSAP per tardività è derivata dal fatto che la notifica, richiesta tempestivamente anche alla luce del vecchio orientamento, non era andata a buon fine per causa imputabile ad errore del ricorrente nell’indicare l’indirizzo del destinatario. Su queste sentenze ed i loro effetti di sistema, anche in riferimento alle reazioni successive, si soffermano Cavalla, Consolo, De Cristofaro, Le S. U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’affidamento, tipi di overruling, in Corr. Giur., 2011, 1397 ss, a commento di Cass., S.U. 11 luglio 2011, n. 15144 la quale, investita proprio in seguito al mutamento di giurisprudenza maturato da Cass. S.U. 30 marzo 2010 n. 7607, ha elaborato la lezione del prospective overruling di casa nostra, sancendo, nel caso deciso, che la tutela dell’affidamento incolpevole della parte, che aveva proposto il ricorso per cassazione contro una sentenza del TSAP in base alla regola processuale espressa dal pregresso e consolidato orientamento giurisprudenziale successivamente mutato, imponeva di ritenere non operante la decadenza per mancata osservanza del termine per impugnare e, dunque, tempestivamente proposto il ricorso stesso. Lo stesso è a dirsi quanto a Cass., S.U., 20 giugno 2012, n. 10143, in Riv. it. dir. lav., 2013, 169 ss, con nota di Rasia, L’elezione di domicilio sul banco di prova delle comunicazioni e notificazioni effettuate a mezzo posta elettronica certificata: una propsective overruling delle sezioni unite. Come rileva condivisibilmente Passanante, Il precedente impossibile, cit., 306, “ (…) il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite era (solo) nella prima parte ratio decidendi, mentre nella seconda costituiva un obiter (finito puntualmente in massima, senza segnalazione) riferendosi all’interpretazione di una norma, alla luce di modifiche normative (di natura processuale) intervenute in epoca successiva rispetto ai fatti di causa, quindi a questi ultimi inapplicabili (…)”. Ma non mancano esempi molto recenti: v. Cass., ord. 3 giugno 2022, n. 17984 che, proprio e solo in obiter, ha sovvertito il consolidato orientamento secondo il quale è ammissibile la domanda di condanna solo generica, limitata cioè ab initio alla sola definizione dell’an debeatur, riservando ad un separato processo la liquidazione. Amplius, per interessanti considerazioni, Auletta, Procedural data mining from “Dobbs”: ovvero cosa può insegnare agli studiosi di diritto processuale la nuova decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti sul diritto all’aborto, cit., 756 ss.

[17] Pur senza sottovalutare, evidentemente, la complessità insita nella stessa distinzione tra ratio ed obiter, sulla quale anche nel nostro ordinamento non vi è concordia: v. amplius, Cordopatri, La ratio decidendi (profilo storico comparativo), in Riv. dir. proc.,1989, 701 ss.; ID, La ratio decidendi (considerazioni attuali), ivi, 1990, 148 ss; per una considerazione in un’ottica spiccatamente comparatistica specialmente con gli ordinamenti di common law, v. altresì Passanante, Il precedente impossibile, cit., spec. 243 ss.

[18] Sia in fase di merito che di legittimità.

[19] Quantomeno in teoria: non è inusuale infatti l’argomento che esclude l’applicazione di principi di diritto maturati in obiter: v. amplius oltre, testo e note.

[20] Relativa, si intende, alla giurisprudenza civile. Diverso il caso della giurisprudenza amministrativa, su cui amplius infra, i §§4 ss.

[21] E’ anzi, plausibilmente, proprio questa la ragione per la quale i mutamenti repentini e inaspettati di interpretazione (soprattutto su disposizioni regolatrici del processo) trovano così massiccia collocazione in obiter. Dà voce a questa diffusa e antica convinzione Passanante, Il precedente impossibile, cit., 172, nel porre la provocatoria domanda: “(…) siamo certi che alcune “inversioni di marcia” sull’interpretazione di disposizioni processuali avrebbero avuto luogo (nei termini in cui lo hanno avuto) se, nel dare quella (talvolta del tutto) nuova interpretazione di una regola del processo, la Cassazione avesse dovuto assumere su di sé la responsabilità di dare torto alla parte che aveva ragione?(…)”. La risposta che l’A. stesso si dà è, ovviamente, negativa: l’obiter è spesso aggiunto in solitudine dall’estensore della sentenza e comunque, ammesso che sia ascrivibile al collegio giudicante, non è assistito da quella ponderazione su cui poggia invece la ratio decidendi, proprio perché non incide sulla decisione del ricorso. Si tratta, ad ogni modo, di riflessioni antiche, che risalgono già ad Andrioli e poi a Gorla e a Galgano nonché ai suoi autorevoli ospiti nel lungo dibattito sull’interpretazione del precedente dipanatosi nelle pagine di Contratto e Impresa negli anni ottanta del novecento. Qui non si può però che rinviare, per una compiuta ricostruzione dei relativi termini e le indispensabili indicazioni bibliografiche, ancora a Passanante, Op. loc. ult. cit.

[22] V., per tutti, le bellissime pagine di Bobbio v. Sanzione, in Noviss. dig. it.,. XX, Torino, 1960, 530 ss. sulla fisiologica tensione tra mutamento/trasformazione e conservazione su cui si regge l’ordinamento giuridico. V. anche il recente volume del compianto Prof. Terranova, Il ragionamento giuridico, Milano, 2021 dove la tensione tra la certezza del diritto e la sua evoluzione è riguardata alla luce complessità dell’ordinamento giuridico e l’interpretazione quale risultato del suo contesto di riferimento e del patrimonio sapienziale di cui si nutre l’interprete. Quelle che egli stesso definisce come porosità e parziale indeterminatezza del linguaggio costituiscono, per l’A., una sfida che il giurista/interprete (e dunque anche il giudice) deve vincere con pazienza, sempre in tensione tra interpretazioni canoniche ed esigenze pratiche in perenne evoluzione, fino a far emergere (non la razionalità ma) la ragionevolezza, il discernimento e la prudenza quali dimensioni fisiologiche del mondo del diritto. V., per una riflessione sulla recessività di questi valori nell’attuale panorama giurisprudenziale improntato al personalismo e protagonismo giudiziario, Panzarola, Il ragionamento giuridico nel pensiero di un compianto Maestro, in Il Processo, 2022, 763 ss.

[23] Come dimostra la casistica edita all’indomani del leading case del 2010 sulla dimidiazione dei termini di costituzione nell’opposizione a d.i., l’impatto sistemico del mutamento è stato gestito dai giudici di merito in modo diversificato ma pur sempre secondo direttrici fisiologiche: molti di loro hanno ritenuto non persuasiva e ragionevole la nuova interpretazione e semplicemente la hanno ripudiata; altri ne hanno escluso l’efficacia di “precedente” ancorché soltanto persuasiva, in quanto obiter e quindi non funzionale alla ratio decidendi (cfr., in tal senso, ad esempio, Trib. Belluno 30 ottobre 2010); qualcuno è infine ricorso alla discussa equiparazione (sulla quale mi soffermerò in prosieguo) tra mutamento giurisprudenziale e ius superveniens irretroattivo. Dà conto di questi sviluppi applicativi all’indomani della “tempesta” Della Pietra, Ciascuno a modo suo: la Cassazione, i giudici di merito e il termine di iscrizione a ruolo dell’opposizione a decreto ingiuntivo, in Corr. Giur., 2011, 689 ss. In una dimensione casistica più ampia v. altresì Cavalla, Consolo, De Cristofaro, Le S. U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’affidamento, tipi di overruling, cit., 1397 ss. In un caso recentissimo, sono poi proprio le Sezioni Unite (Cass., S.U. 12 ottobre 2022, n. 29862) a sconfessare la pronuncia (Cass, ord. 3 giugno 2022, n. 17984, cit.) con cui era stato sovvertito il consolidato orientamento in tema di ammissibilità ab initio di una domanda di condanna solo generica (con riserva di liquidazione in separato processo), motivando nel senso che il mutamento era stato consacrato, appunto ed ancora una volta, solo in obiter.

[24] Cass., S.U. n. 15144/2011 cit. ha caratterizzato il prospective overruling di casa nostra stabilendo che, affinchè un nuovo orientamento non sia applicato retrospettivamente, devono ricorrere tutti i seguenti requisiti: a) che il mutamento verta su una regola processuale; b) che il mutamento stesso sia stato imprevedibile in ragione del carattere consolidato della precedente interpretazione, tale da ingenerare nella parte interessata un ragionevole affidamento su di esso; c) che il mutamento comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa. Il catalogo è ripreso nella giurisprudenza successiva: v., ad esempio, Cass. 28 ottobre 2015, n. 22008. Coerente con queste premesse, di recente la Corte (Cass. 9 novembre 2021 n. 32827) ha precisato che l’intervento regolatore delle Sezioni Unite volto a dirimere un contrasto di giurisprudenza esclude la presenza dell’affidamento incolpevole in capo alla parte che abbia prescelto l’orientamento poi prevalso, proprio perché non può parlarsi di mutamento repentino ed inatteso.

[25] Passanante, Il precedente impossibile, cit., 282.

[26] E sempre ammesso che proprio la natura di obiter non osti, secondo il giudicante, alla sua applicabilità: v. amplius supra, nota 23.

[27] Ad esempio, in riferimento al mutamento di giurisprudenza in ordine alla competenza nel procedimento di liquidazione dei compensi agli ausiliari nei procedimenti penali (maturato da S.U. n. 19161/2009) nel 2010 la Sez. II, con le ord. nn. 14627 e 15811, si è fatta carico di come tutelare la parte che aveva improntato la propria condotta processuale ad un orientamento giurisprudenziale poi fatto oggetto di radicale ed improvviso ripensamento da parte delle Sezioni Unite. E così si è affermato (in parte anticipando i risultati raggiunti più tardi dalle stesse SU) che l’errore in cui sia incorsa la parte per aver confidato su di un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in ordine all’interpretazione delle norme processuali, mutato successivamente alla proposizione dell’atto di impugnazione, non può andare a svantaggio di quella parte (e del suo difensore), ma impone il ricorso alla rimessione in termini. Coerentemente con queste premesse, la stessa Sez. II ha poi statuito (Cass. 7 febbraio 2011 n. 3030) – che la rimessione in termini non può essere invocata dalla parte allorché il ricorso sia stato proposto successivamente al mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale, venendo meno il presupposto indispensabile dell’errore scusabile. V. inoltre S.U. 11 luglio 2011, n. 15144, cit., seguita da S.U. 12 ottobre 2012, n. 17402, entrambe commentate da Consolo, Le Sezioni Unite tornano sull ‘overruling, di nuovo propiziando la figura dell’avvocato « internet-addicted » e pure «veggente», in Giur. Cost., 2012, 3166 ss. Le pronunce qui segnalate rappresentano, ovviamente, un mero spunto per ricostruire il mood giurisprudenziale di cui si discute nel testo. Ulteriori e più complete indicazioni si rinvengono invece proprio nello scritto di Consolo appena citato. La Corte ritorna su questi temi anche nel 2019 (S.U. 4135/2019) in sede di interpretazione dell’art. 829 cpc dopo la riforma del 2006. In quell’occasione, ribadendo la propria giurisprudenza che iscrive il prospective overruling nei confini della legge processuale e ne individua il viatico nella rimessione in termini, si pone il problema  se l’istituto sia estensibile alla legge sostanziale ed oltre i mutamenti degli indirizzi consolidati del giudice di legittimità (secondo le indicazioni dell’ordinanza di rimessione 2 agosto 2018, n. 20472) nonché se nella nozione di “causa non imputabile” di cui all’art. 153 c.p.c. possa rientrare l’assenza di colpa nell’incorrere nella decadenza, quando si sia creato un ragionevole affidamento sulla portata letterale di una norma di legge. Amplius, su questo coacervo di temi (e di equivoci), i commenti di Capponi, Cosa è retto dal tempus, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 179 ss; di Ficcarelli, Il prospective overruling nella recente giurisprudenza delle sezioni unite: profili ricostruttivi, ivi, 2020, 993 ss; di De Siano, Il prospective overruling tra giusto processo e sentenza giusta, in Dir. proc. amm., 2019, 1134 ss.

[28] Amplius, per tutti, Capponi, La Suprema Corte impartisce, nell’interesse della legge, le istruzioni per l’uso di inibitorie e sospensioni nel processo di esecuzione forzata, in Rass. esec. forz., 2019, 1235 ss; ID, La Corte di cassazione e la “nomofilachia” (a proposito dell’art. 363 c.p.c.), in www.judicium.it del 6 aprile 2020; ID, Tiscini, Introduzione, cit., spec. 149 ss; Odorisio, Il principio di diritto nell’interesse della legge, Torino, 2018.

[29] Passanante, Il precedente impossibile, cit., 117 ss, che fa notare proprio da questo punto di vista la distanza siderale che separa il “precedente” di common law dalla massima di casa nostra.

[30] Cosa sempre più difficile ed inesigibile nella pratica data la mole enorme di sentenze prodotte dalla Corte di Cassazione: v., per una serie di considerazioni in tal senso, Passanante, Il precedente impossibile, cit., 305 ss. Rileva l’ enorme criticità indotta dall’intreccio perverso tra la massiccia pratica degli obiter e le massime, da ultimo, anche Auletta, Procedural data mining from “Dobbs”: ovvero cosa può insegnare agli studiosi di diritto processuale la nuova decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti sul diritto all’aborto, cit., spec. 756 ss., nell’ambito di una più ampia riflessione comparativa che parte dalla recente pronuncia della Corte Suprema USA sulla normativa del Mississipi limitativa del diritto di aborto. L’A. riporta l’esempio recentissimo di Cass., ord.3 giugno 2022, n. 17984, che solo in obiter ha mutato il precedente consolidato orientamento in tema di ammissibilità della domanda di condanna generica, limitata cioè ab initio all’ an debeatur, con riserva di chiedere solo in un separato processo la liquidazione.

[31] Così Cass., S.U. 4135/2019, cit., resa in sede di interpretazione dell’art. 829 cpc dopo la riforma del 2006, su cui v. i commenti di Capponi, Cosa è retto dal tempus, cit., 179 ss; di Ficcarelli, Il prospective overruling nella recente giurisprudenza delle sezioni unite: profili ricostruttivi, cit., 993 ss; di De Siano, Il prospective overruling tra giusto processo e sentenza giusta, cit., 1134 ss. Raccomandando la massima parsimonia nell’uso del prospective overruling, le S.U. affermano apertis verbis che esso sarebbe “riconducibile pur sempre ad una specifica disposizione processuale, quella di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, che è di stretta interpretazione, in considerazione delle conseguenze che un uso improprio della rimessione in termini potrebbe determinare sul piano della imperatività e della stessa vigenza della legge”. V. anche in tal senso, ad esempio, Cass. 20 dicembre 2017, n. 3062, per la quale l’incolpevole affidamento ai fini della rimessione in termini troverebbe il suo fondamento nel principio del prospective overruling.

[32] Si è già visto come Cass., S.U. 4135/2019 riconduca il prospective overruling “(…) all’art. 153 c.p.c., comma 2, che è di stretta interpretazione, in considerazione delle conseguenze che un uso improprio della rimessione in termini potrebbe determinare sul piano della imperatività e della stessa vigenza della legge”. Ebbene, per la Corte siffatto potere di intervento sugli effetti della legge “non è conferito al giudice in presenza di orientamenti interpretativi innovativi di norme di diritto sostanziale che incidono su atti di autonomia privata o fatti illeciti o comunque compiuti, sui quali neppure al legislatore è consentito di intervenire (arg. ex art. 11 disp. gen.), vertendosi su un terreno extraprocessuale cui è estraneo l’istituto della rimessione in termini.” Ecco dunque che il cerchio si chiude.

[33] Così, significativamente, Ficcarelli, Il prospective overruling nella recente giurisprudenza delle sezioni unite: profili ricostruttivi, cit., 993 ss, ma già Passanante, Il precedente impossibile, cit., spec. 300 ss.

[34] Si tratta di un problema che, occorre pur dirlo, la Cassazione stessa ha creato e crea laddove riscrive improvvisamente interi settori del diritto, anche processuale, in obiter, senza cioè assumersi la responsabilità di valutare in modo attento e ponderato le ricadute concrete del mutamento, ed anzi proprio per questo: v. per i termini generali del problema Passanante, Il precedente impossibile, cit., 273 ss e passim, anche per i riferimenti bibliografici e, da ultimo Auletta, Op. loc. ult. cit. Il mutamento e l’evoluzione sono inevitabili (il che è un bene), ma sono le modalità a dover essere seriamente ripensate. La massiccia pratica degli obiter infatti toglie sì al giudicante il peso di applicare il nuovo orientamento al ricorso da decidere (cambiandone le sorti). Al contempo però, e proprio per questo, scarica quel peso sui giudici degli altri processi (già pendenti o futuri), che si trovano a giudicare condotte ed atti secondo un parametro diverso da quello noto al momento in cui furono compiuti, complice la indiscriminata massimazione senza alcun discrimine tra ratio ed obiter, appunto. Da questo punto di vista perciò la lezione domestica del p.o. “all’italiana”, vale a dire la rimessione in termini, è la contromisura per limitare l’impatto di quella pratica patologica e che andrebbe abbandonata, come del resto la dottrina rileva oramai da tempi molto molto lontani.

[35] Se condiviso/ritenuto persuasivo dal giudicante.

[36] Chiarissimo sul punto Ruffini, Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione di norme processuali e “giusto processo”, in Riv. Dir. proc., 2011, 1390 ss.

[37] Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano 1996, 354; Ruffini, Mutamenti di giurisprudenza, cit., 1404.

[38] Emersa in dottrina a ridosso dell’esplosione della stagione dei mutamenti repentini ed inaspettati dell’interpretazione consolidata di regole processuali (e adottata anche da una sporadica giurisprudenza di merito): v., in tal senso, Caponi, Il mutamento di giurisprudenza costante della Corte di cassazione in materia di interpretazione di norme processuali come ius superveniens irretroattivo, in Foro It., 2010, I, 311 ss, e spec. 314; ID., Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, in nota a Cass. 11 luglio 2011, n. 15144, in Foro it., 2011, I, 3344 ss; Proto Pisani, Un nuovo principio generale del processo, in Foro It., 2011, I, 117 ss. Il carattere retrospettivo dei mutamenti di giurisprudenza è negato, per ragioni di tutela dell’affidamento incolpevole, da Barone, Caponi, Costantino, Dalfino, Proto Pisani, Scarselli, Le Sezioni Unite e i termini di costituzione dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in Foro It., 2010, I, 3014 ss.

[39] Su cui v. amplius Capponi-Tiscini, Introduzione, cit., 164 ss; Capponi, Cosa è retto dal tempus, cit., 179 ss.

[40] La prospettiva adottata nel testo non ignora che, in dottrina costituzionalistica, la natura di fonte del diritto della giurisprudenza è affermata da Pizzorusso, Fonti del diritto, Bologna – Roma, 2011, 670 ss. V. altresì Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, 63 ss, per il rilievo, acquisito in teoria generale del diritto, che le norme non sono l’oggetto ma il risultato dell’interpretazione. Il punto è però un altro: un conto è il contributo più o meno originale dell’interprete nel costruire/attualizzare il contenuto delle fonti (v., ad es., Carratta, Il giudice e l’interpretazione della norma processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 100 ss, in riferimento alla lezione bettiana; Terranova, Il ragionamento giuridico, cit., passim), altro invece è individuare/interpretare la legge regolatrice del caso sub iudice ma non applicarla a protezione di istanze di tutela dichiaratamente esterne alla legge stessa.

[41] Estremamente pregnante, sul punto Ruffini, Mutamenti di giurisprudenza, cit.,1404, il quale fa oltretutto notare il contrasto tra la tesi dello ius superveniens irretroattivo e l’art. 360 bis c.p.c., n. 1, a mente del quale il ricorso è inammissibile se il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare quell’orientamento. Ebbene, rileva perspicuamente Ruffini  “(…)  che il ricorrente che voglia ottenere la cassazione della sentenza di appello ha l’onere di offrire alla Corte argomenti idonei a far mutare la propria giurisprudenza, a pena di inammissibilita` del proprio ricorso. Sennonche,´ nella prospettiva criticata, laddove il ricorso per cassazione fosse proposto per denunciare un error in iudicando commesso dal giudice di secondo grado che, nell’interpretare una norma processuale posta a fondamento di un motivo di appello, si sia uniformato alla giurisprudenza della Corte, il ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile per evidente difetto di interesse, non potendo comunque l’invocato mutamento di giurisprudenza della Corte applicarsi al caso di specie e potendo lo stesso portare esclusivamente all’enunciazione, ex art. 363, comma 3º, c.p.c., di un principio di diritto nell’interesse della legge; legge che deve regolare il giusto processo ma della cui esatta interpretazione il ricorrente che abbia offerto alla Corte elementi per mutare il proprio precedentemente orientamento, nel vano tentativo di non veder dichiarato inammissibile il proprio ricorso, non dovrebbe mai potersi avvalere, nemmeno qualora la questione appaia alla Corte di particolare importanza”. Ma ancor prima, aggiungo io, la disposizione codicistica mostra come sia tutelata la posizione della parte che aspiri a sovvertire la “giurisprudenza della Corte”, sia pure onerandola (come del resto è comprensibile ed equo) di illustrarne in modo convincente le basi.

[42] Non senza tentennamenti e sbavature, come mostra, ad esempio, il nodo interpretativo intorno alla necessità dell’istanza di parte e della prova dell’affidamento: sufficit qui ancora rinviare, per tutti, a Ruffini, Op. loc. ult cit. V. altresì, nel senso del ripudio della figura dello ius superveniens irretroattivo,  Cass., 25 febbraio 2011, n. 4687, per la quale  “Il tema, della tutela dell’affidamento nel precedente orientamento giurisprudenziale, non è risolvibile con gli strumenti adoperati negli ordinamenti in cui la giurisprudenza è considerata, anche formalmente, quale fonte del diritto oggettivo (ad es., nel sistema statunitense, con la prospective overruling), soccorrendo, piuttosto, la categoria dell’errore incolpevole e la conseguente esclusione della rilevanza preclusiva per la parte che, conformatasi alla consolidata interpretazione giurisprudenziale delle norme regolatrici del processo datane dalla Corte di cassazione, sia successivamente travolta dal mutamento, l’overruling, ad opera della stessa corte”. V anche Cass. 17 giugno 2010, n. 14627, in Foro it., 2010, I, c. 3050; Cass. 2 luglio 2010, n. 15809, ivi, 2011, I, c. 144,  e n. 15811, ivi, 2010, I, c. 3050.

[43] Cons. Stato, A.P. 23 febbraio 2018, n. 1, in www.giustizia-amministrativa.it

[44]  Dopo aver individuato ed interpretato la normativa applicabile, l’AP così conclude: “7.– La decisione dell’intera controversia, ai sensi dell’art. 99, comma 4, comporta l’accoglimento dell’appello.

In via preliminare deve rilevarsi come la regola della compensatio, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte privata resistente, non può ritenersi applicabile soltanto a rapporti futuri e non anche a quelli in corso.

Gli enunciati giurisprudenziali hanno, infatti, natura formalmente dichiarativa. La diversa opinione «finisce per attribuire alla esegesi valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica intrinseca della interpretazione e con il principio costituzionale della separazione dei poteri venendosi a porre in sostanza come una fonte di produzione» (Cons. Stato, Ad. Plen., 2 novembre 2015, n. 9). Affinché un orientamento del giudice della nomofilachia possa avere efficacia solo per il futuro devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: «a) che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; b) che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; c) che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte» (così Cass. civ., 11 marzo 2013, n. 5962). Nella fattispecie in esame non occorre applicare una norma processuale e nemmeno attinente al procedimento amministrativo, e, in ogni caso, non risulta che vi sia stato né un mutamento imprevedibile di orientamento in ragione anche degli indirizzi interpretativi seguiti nell’ambito della giurisprudenza della Corte di Cassazione né una incidenza negativa sul diritto di azione della parte appellata (…)”.

Nello stesso senso si era già pronunciata, del resto, A.P. 2 novembre 2015, n. 9, citata nella sentenza che precede, la quale si era limitata ad affermare i principi di diritto prima di rimettere la decisione definitiva alla Sezione remittente, non prima di aver però chiarito che “(…) non può accedersi alla tesi propugnata dalla difesa delle appellanti secondo cui, in applicazione del principio di cui alla A.P. n. 21 del 2012, dovrebbe affermarsi che la esclusione dalla gara per non avere indicato gli oneri di sicurezza aziendale potrebbe essere comminata solo per le procedure bandite successivamente alla pubblicazione della decisione della A.P. n. 3 del 2015. L’Adunanza al riguardo approfondendo la questione, ritiene di dover riaffermare il tradizionale insegnamento in tema di esegesi giurisprudenziale, anche nomofilattica, che attribuisce ad essa valore esclusivamente dichiarativo.

La diversa opinione finisce per attribuire alla esegesi valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica intrinseca della interpretazione e con il principio costituzionale della separazione dei poteri venendosi a porre in sostanza come una fonte di produzione. In proposito è stato perspicuamente osservato: “Ad una diversa conclusione potrebbe invero giungersi solo ove si ritenga che la precedente interpretazione, ancorché poi corretta, costituisca il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con essa (ut lex temporis acti). Ma con ciò, all’evidenza, si trasformerebbe una sequenza di interventi accertativi del contenuto della norma in una operazione di creazione di un novum ius, in sequenza ad un vetus ius, con sostanziale attribuzione, ai singoli arresti, del valore di atti fonte del diritto, di provenienza dal giudice; soluzione non certo coniugabile con il precetto costituzionale dell’art. 101 Cost.” (Cassazione SS.UU. n. 15144 del 2011). E’ significativo che anche le recenti aperture del giudice di legittimità in tema di prospective overruling siano rimaste confinate in ambito strettamente delimitato.

A far tempo dalla già citata pronuncia delle Sezioni unite n. 15144 del 2011 si è costantemente affermato che per attribuire carattere innovativo all’intervento nomofilattico occorre la concomitanza di tre precisi presupposti e cioè che l’esegesi incida su una regola del processo; che si tratti di esegesi imprevedibile susseguente ad altra consolidata nel tempo e quindi tale da indurre un ragionevole affidamento, e che infine – presupposto decisivo – comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa (v. anche Cass. 28967/11; 12704/12 e, da ultimo, 19700/15; 20007/15). Nel caso di specie nessuno degli anzidetti presupposti può ritenersi sussistente non trattandosi di norma attinente ad un procedimento di carattere giurisdizionale, non preesistendo un indirizzo lungamente consolidato nel tempo e non risultando precluso il diritto di azione o di difesa per alcuna delle parti in causa.

In conclusione, se da un lato non sembra possibile elevare la precedente esegesi al rango di legge per il periodo antecedente al suo mutamento, dall’altro non possono essere sottaciute le aspirazioni del cittadino alla sempre maggiore certezza del diritto ed alla stabilità della nomofilachia, ma trattasi di esigenze che, ancorché comprensibili e condivisibili de jure condendo, nell’attuale assetto costituzionale possono essere affrontate e risolte esclusivamente dal legislatore”.

[45] Beninteso, mutato quel che c’è da mutare in ordine al tipo di giudice supremo.

[46] Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2268, su cui ben a ragione si sofferma De Siano, Il prospective overruling tra giusto processo e sentenza giusta, cit., 1134 ss.

[47] Estremamente significativo anche il seguente passaggio: “(…) 10.3. Nella specie, per affermare la salvezza dell’atto di ammissione e di superamento degli esami (conseguenti all’esito del giudizio di primo grado), non rileva il testo dell’art. 4, comma 2 bis, del d.l. 30 giugno 2005, n. 115 (come convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168), poiché esso – pur mirando alla stabilità degli effetti degli atti emanati in conseguenza di pronunce del giudice amministrativo – si è testualmente riferito ai casi in cui, per il conseguimento di una abilitazione professionale o di un titolo, occorra il superamento di “prove d’esame scritte ed orali”, che siano state superate a seguito di una ammissione conseguente alle statuizioni del giudice amministrativo.

10.4. Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, vi sia ugualmente una situazione di affidamento, con avvio in buona fede di un articolato percorso di studio, quasi completato, che merita un trattamento non dissimile a quello previsto dal sopra richiamato art. 4-bis quando vi sia stato il conseguimento di una abilitazione professionale o di un titolo nei casi ivi previsti (…)”. In sintesi: malgrado la richiamata disposizione non sia ritenuta applicabile, nondimeno si decide di applicarla allo scopo di tutelare l’affidamento dello studente.

[48] Questo il passaggio motivazionale di riferimento: “10.5. L’affermazione in questa sede della salvezza degli esami superati dall’appellato risulta peraltro coerente con il complessivo comportamento processuale delle Amministrazioni appellanti.

Con la dichiarazione di rinuncia alla definizione della domanda incidentale cautelare (…) e con il successivo comportamento processuale, le Amministrazioni appellanti hanno evidenziano che esse hanno coltivato l’appello per ottenere la riaffermazione in linea di principio e anche pro futuro della legittimità dell’atto di esclusione e per evitare eventuali domande risarcitorie basate su di esso.

Le Amministrazioni, pur nella consapevolezza che il decorso del tempo avrebbe comportato l’ordinaria attività accademica da parte dell’appellato, non si sono avvalse del rimedio processuale che, in pendenza del giudizio d’appello, in ipotesi avrebbe potuto evitare la profusione del relativo impegno per il superamento degli esami.

Anche per questa ragione, mirando precipuamente le Amministrazioni appellanti alla riaffermazione di un principio di diritto, non sussistono i presupposti per ritenere giustificabile lo sconvolgimento e la caducazione del percorso universitario, seguito dall’appellato”.

[49]  Posto che, appunto, in ogni caso il principio immesso nel circuito giuridico è fonte di orientamento nella sola misura in cui sia ritenuto persuasivo e perciò applicato.

[50] Cons. Stato, A.P. 22 dicembre 2017, n. 13, commentata da Follieri, L’Adunanza plenaria, “sovrano illuminato”, prende coscienza che i principi enunciati nelle sue pronunzie sono fonti del diritto, in Urb. e app., 2018, 373 ss.; da Cassatella, Nuovi orientamenti in tema di efficacia temporale delle sentenze del giudice amministrativo: un’innovazione necessaria?, in Dir. proc. amm., 2018, 1133 ss.; da Condorelli, Il nuovo prospective overruling, «dimenticando» l’adunanza plenaria n. 4 del 2015, in Foro it., 2018, III, 163 ss; da Vitullo, Muccio, Le proposte di vincolo paesaggistico, adottate nel vigore del d.lgs. 490/1999, dopo la sentenza n. 13/2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Rass. Avv. Stato, 2018, 1 ss.

[51] Così in dettaglio il Plenum: “(…) Avendo ritenuto che le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico anteriori al Codice conservino efficacia, mentre l’effetto preliminare di vincolo che ad esse si ricollega cessi decorso – senza che il relativo procedimento si sia concluso – il termine previsto dall’art. 140, comma 1 (180 giorni, che per tali proposte dovrebbe essere calcolato a partire dal d.lgs. 63/2008, ovvero dal d.lgs. 157/2006), la delimitazione al futuro di tale principio implica che l’effetto preliminare cessi decorsi 180 giorni dalla pubblicazione della sentenza” (si intende, dell’Adunanza plenaria n. 13/2017).

[52] Gli intollerabili effetti di sistema derivanti dall’applicazione immediata del principio di diritto affermato impongono, per il Plenum, “(…) la praticabilità della prospective overruling, in forza della quale il principio di diritto, affermato in contrasto con l’orientamento prevalente in passato, non verrà applicato (con vari aggiustamenti) alle situazioni anteriori alla data della decisione. La prospective overruling si esplicita, dunque, nella possibilità per il giudice di modificare un precedente, ritenuto inadeguato, per tutti i casi che si presenteranno in futuro, decidendo però il caso alla sua immediata cognizione in base alla regola superata (…)”.

[53] Solo la concreta decisione potendo degradare la ratio decidendi in obiter: v. amplius supra, § 2.

[54] Queste considerazioni trovano conferma nel prosieguo della vicenda giudiziaria. La decisione del Plenum viene infatti impugnata dalla società appellante innanzi alla Cassazione “per violazione dei limiti esterni della giurisdizione, ex art. 111 Cost.” La Corte (Cass. 30 ottobre 2019 n. 27842) dichiara però il ricorso inammissibile con una motivazione che merita qui di essere riportata: “(…) il giudizio di appello non è concluso ma in fieri, spettando alla sezione remittente del Consiglio di Stato, non solo l’attività di contestualizzazione e sussunzione del principio enunciato dall’Adunanza Plenaria, ai fini della decisione del motivo (nella specie il secondo) che ha dato causa alla rimessione, ma anche la decisione degli eventuali altri motivi di appello (…), con esito in astratto potenzialmente favorevole al ricorrente ( . . .) L’assenza del carattere decisorio della sentenza impugnata risulta inoltre evidente se si considera che, nella specie, lo stesso interesse della società ricorrente all’impugnazione potrebbe venir meno nel caso in cui il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico venga (o sia venuto) a cessare qualora il relativo procedimento non si concluda neppure nel termine di 180 giorni decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza dell’Adunanza Plenaria (…)”. La logica richiama quella di Cons. Stato, A.P. 23 febbraio 2018, n. 2, in Giur. it., 2018, 1687 ss., con nota di A. De Siano, Il principio di diritto espresso dall’Adunanza plenaria quale norma giuridica, che ha affermato, tra l’altro, che l’attività di contestualizzazione e di sussunzione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria ai sensi dell’articolo 99, comma 4 c.p.a. in relazione alle peculiarità del caso concreto spetta alla Sezione cui è rimessa la decisione del ricorso.

[55] C. Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2619, in www.giustizia-amministrativa.it.

[56] Così, a titolo esemplificativo, Cons. Stato 23 febbraio 2018, n. 2, cit., ma anche. Cass. 30 ottobre 2019 n. 27842, cit.

[57] Evidentemente però non è questo il presupposto da cui parte il “sovrano illuminato”:  il richiamo alle tecniche utilizzate dalla Corte di Giustizia e dalla Corte costituzionale (in particolare Corte cost. 11 febbraio 2015, n. 10, in Foro It., 2015, I, 1513, con nota di Romboli) fa pensare che l’Adunanza Plenaria si riconosca funzioni nomopoietiche nell’enunciare i principi di diritto. La conclusione, comune nella dottrina amministrativistica, è bene argomentata, ad esempio, da Follieri, L’Adunanza Plenaria, “sovrano illuminato”, cit., spec. 382 ss; v. amplius Saitta F., Interprete senza spartito?, cit., 465 ss, anche per le necessarie indicazioni bibliografiche.

[58] Tar Molise, 5 marzo 2018, n. 117, in www.giustizia amministrativa.it, su cui si sofferma il saggio di Vitullo, Mastromonaco,Vincoli paesaggistici definitivi e sopravvenuti, in Rass. avv. Stato, 2020, 1 ss. Il Tar, in una controversia simile a quella che ha occasionato la pronuncia dell’A.P. n. 13/2017, accoglie nel merito il ricorso ponendo a base della decisione solo il principio di diritto secondo cui “il combinato disposto – nell’ordine logico – dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del d.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo – come modificato con il d.lgs 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs 26 marzo 2008, n. 63 – cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni”. Il T.A.R. ha cioè ritenuto che il vincolo preliminare fosse già cessato quando il ricorrente ha formulato richiesta di autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 146 D.Lgs n. 42/2004, secondo cioè la sua disciplina ordinaria e non quella “corretta” dall’A.P. Con riferimento allo spostamento in avanti del dies a quo di 180 giorni (da computarsi alla data di pubblicazione di A.P. n. 13/2017) operato dalla Plenaria, il Tar ha infatti ritenuto che la “limitazione pro futuro degli effetti della sentenza interpretativa dell’adunanza plenaria equivale alla creazione di una norma transitoria, in funzione para-normativa, che non può vincolare il giudice di primo grado, in quanto recessiva rispetto al principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101 Cost.” La pronuncia è poi stata riformata da Cons. Stato, Sez, VI, 3 dicembre 2018, n. 6858, che ha smentito nel merito la prospettazione di primo grado sull’insussistenza, nel caso deciso dall’Adunanza, dei presupposti per l’applicazione dello strumento del prospective overruling. Ciò che rileva però ai fini del discorso che si va qui svolgendo è l’affermazione che è fisiologico il discostamento della decisione del T.A.R. n. 117/2018 dal principio di diritto affermato da A.P. n. 13/2017, in ragione della limitata vincolatività, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., delle pronunce dell’Adunanza nei giudizi diversi da quello che l’ha occasionata. Cenni alla vicenda anche in De Siano, Il prospective overruling tra giusto processo e sentenza giusta, cit., 1134 ss.

[59] Non è certo possibile, nel breve spazio di questo scritto, un commento alle sentenze, che peraltro esula dalle intenzioni di chi scrive. Senza alcuna pretesa di completezza, sufficit perciò qui rinviare, per una compiuta disamina della intricatissima questione non solo sotto il profilo giuridico e per le indicazioni bibliografiche del caso, per tutti, a Giannelli, Tropea, Il funzionalismo creativo dell’Adunanza plenaria in tema di concessioni demaniali marittime e l’esigenza del katékon, in Riv. it. dir. pubbl. comp., 2021, 723 ss.

[60] Il contesto è ricostruito da Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari”alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza plenaria, in Dir. soc., 2021, 351 ss.

[61] Cons. Stato, Sez. VII, 23 maggio 2022, n. 4072, in  www.giustizia-amministrativa.it, pronunciatosi in esito a A.P. n. 18/2021.

[62] Cons. Giust. Amm. Reg. siciliana, 24 gennaio 2022, n. 4072, in www.giustizia-amministrativa.it, pronunciatosi in esito ad A.P. n. 17/2021.

[63] Supra, § 4.1

[64] Solo per limitarsi ad un esempio: il tempo necessario alle amministrazioni per apprestare le procedure competitive e lo “spostamento in avanti” della mors delle concessioni sono in correlazione solo apparente. Il giudice fissa infatti un termine finale rigido ed uguale per tutti, il che dimostra che le ragioni che lo hanno portato a quella scelta sono solo compromissorie e non basate invece su dati concreti, che solo le amministrazioni interessate potrebbero avere e valutare, e cui solo dovrebbe dunque essere rimessa la valutazione in ordine alla permanenza a tempo delle concessioni ancora in essere: così, condivisibilmente, Giannelli-Tropea, Il funzionalismo creativo, cit., spec. 753 ss.

[65] Che esaspera la discrezionalità pure immanente all’interpretazione: chiaramente in tal senso, per tutti, proprio Saitta F., Interprete senza spartito?, cit., 123 ss e passim, che ne offre un quadro generale.

[66] Si tratta, ovviamente, solo di un esiguo campione tra i casi che hanno suscitato più scalpore: per una compiuta ricostruzione ed una più ampia casistica, con relativo corredo di indicazioni anche bibliografiche v., per tutti, Saitta F., Interprete senza spartito?, cit., 459 ss.

[67] V., per questo distinguo, i precedenti §§.

[68] Per queste ragioni non mi pare che alla stessa logica si ispiri Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2011 n. 2755, in Giur. It., 2012, 439 ss., con nota di Follieri, L’ingegneria processuale del Consiglio di Stato. Nella vicenda concreta il WWF,  legittimato ad impugnare gli atti negativamente incidenti sull’ambiente (ex art. 18 L. n. 349 del 1986), aveva impugnato un piano faunistico venatorio regionale lamentando la mancanza della “valutazione ambientale strategica” prevista dalla legislazione statale, a sua volta ritenuta fonte di inadeguate misure protettive per la fauna, rispetto a quelle che si sarebbero ragionevolmente disposte se fosse stato seguito il prescritto procedimento. Il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’appello del WWF contro la reiezione del ricorso di prime cure, ha dichiarato illegittimo il piano impugnato proprio per carenza della valutazione ambientale strategica. Ha tuttavia stabilito il mantenimento di tutti i suoi effetti sancendo “(…)il dovere della Regione di procedere alla rinnovata emanazione, con effetti ex nunc, del piano faunistico venatorio regionale efficace fino all’anno 2014 e di concludere il relativo procedimento entro il termine di dieci mesi”, in difetto scattando il giudizio di ottemperanza. In particolare, la portata conformativa della pronuncia veniva precisata nel senso dell’obbligo della PA di adottare tutte le più restrittive misure di salvaguardia prima non adottate, alla luce della sopravvenienza di una legge più stringente.
La decisione è stata motivata dalla circostanza che il WWF con il proprio ricorso aveva inteso ottenere una disciplina più garantista per l’ambiente e non semplicemente l’annullamento del Piano, che avrebbe lasciato l’ambiente stesso senza alcuna normativa di salvaguardia frustrando l’interesse del ricorrente. Malgrado perciò il fuorviante richiamo allo stereotipo della modulabilità degli effetti di annullamento, la (giusta) decisione si fonda su una implicita riqualificazione della domanda (probabilmente mal formulata dall’inizio proprio alla luce dell’interesse a ricorrere riconosciuto ex lege al WWF) in quella di accertamento dell’illegittimità del Piano (solo) in parte qua e condanna della PA ad adottare le più restrittive misure di salvaguardia imposte dalla legge, da aggiungere al Piano già in vigore (o in alternativa ad adottare un nuovo Piano in toto più restrittivo e da sostituire al precedente con efficacia comunque ex nunc: mi pare che in questo senso opini, sia pure nell’ambito di un generale commento critico, anche Follieri, Op. loc. ult. cit.). La conclusione è confermata dal richiamo all’art. 34, comma 1, lett. e), del codice del processo amministrativo, a mente del quale il giudice può adottare già in sede dichiarativa le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e, quindi, determinare l’effetto conformativo. Si tratta, insomma, di una dichiarazione di illegittimità del Piano nella parte in cui non prevede determinate misure sicchè proprio l’accoglimento nell’interesse del ricorrente impone di conferire alla sentenza una portata conformativa di tipo “additivo” rispetto ai provvedimenti riconosciuti carenti. La tecnica motivazionale è indubbiamente, nel suo insieme, pletorica, confusa e fuorviante, e tuttavia la decisione non ribalta le sorti naturali del giudizio, che anzi si mostrano pienamente aderenti all’interesse a ricorrere del WWF visto in un’ottica di effettività della tutela. Non mi pare perciò che la sentenza meriti le sferzanti critiche di Fornaciari, Ultimissime dal Consiglio di Stato: l’annullamento…che non annulla!, in Dir. proc. amm., 2012, 1662 ss. Semmai proprio questo caso, ed il suo richiamo da parte di A.P. n. 13/2017, mostra una volta di più come quello della modulazione degli effetti della sentenza di annullamento sia uno stereotipo dietro al quale si nascondono le realtà, e gli esiti di tutela, più diversi! La conclusione è confermata, se mai ve ne fosse bisogno, dal ricorso deciso da TAR Sicilia-Catania, Sez. I, 30 aprile 2019, n. 966, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui un Piano paesaggistico era stato impugnato, lamentando il vizio di incompetenza, da un privato che aveva interesse ad escludervi le aree di sua proprietà per potervi costruire.

Ebbene, qui il giudice, pur accogliendo la censura di incompetenza e dichiarando in toto illegittimo il Piano, dispone comunque che resti in vita fino all’adozione di un nuovo Piano, da effettuarsi comunque in un termine massimo da parte stavolta dell’Autorità competente. Ciò in quanto “(…) L’azzeramento immediato delle prescrizioni dettate per la provincia di Messina senza consentire all’Autorità paesaggistica una riedizione del potere «a bocce ferme» darebbe luogo ad un pregiudizio urbanistico-ambientale grave e certo per quel territorio, che ovviamente, la sentenza, nei limiti degli strumenti processuali a disposizione, deve evitare, in presenza di «una impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi.

Verrebbe, ancora, irrimediabilmente pregiudicata «la funzione di strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio» (Corte cost. n. 172 del 2018)”. Di qui la necessità di modulare sul piano temporale gli effetti della decisione giurisdizionale, con richiamo a Cons. St. n. 2755 /2011 e a Cons., St. Ad. Pl., n. 13 del 2017, che come già rilevato si muovono su universi separati. Abissale è anche la differenza tra questa decisione e quella resa da Cons. Stato n. 2755/2011. Qui infatti l’interesse del vincitore all’eliminazione di vincoli illegittimi viene frustrato e la sua vittoria trasformata in soccombenza, in base alla asserita intollerabilità degli effetti di sistema dell’eliminazione di un atto che non avrebbe dovuto, a detta dello stesso giudice, essere adottato!!

[69] Si intende: nelle pronunce qui esaminate.

[70] V., in proposito, le pregnanti considerazioni di A.P. 13 aprile 2015, n. 4, in Foro It., 2015, III, 286, con nota di Travi, Recenti sviluppi sul principio della domanda nel processo amministrativo.

[71] Mi riferisco, ovviamente, alla rilettura degli Studi di Fazzalari su processo e procedimento, su cui v. oggi Procedimento e processo, Metodi di ponderazione di interessi e risoluzione di conflitti, a cura di Martino, Panzarola e Abbamonte, Milano 2022, 411 ss., ed in particolare al saggio di Panzarola, Processo, procedimento e iudicium (brevissime osservazioni a margine di una celebre dottrina), ivi, 411 ss., nel dialogo con Sassani, Il discorso interrotto. Il diritto processuale e il suo oggetto al tempo del right to a fair trial, ivi, 425 ss, e con Tiscini, Ulteriori brevi riflessioni intorno a un discorso interrotto…tra processo, procedimento e judicium, in Judicium, n. 4/2022. V. altresì la Prefazione di Martino al volume citato.

[72] Procedimento rispetto al quale peraltro, quantomeno in riferimento a specifici settori, sembrano imporsi i più garantistici requisiti del processo (quale veicolazione di judicium): imparzialità dell’organo in riferimento al contraddittorio degli interessati/controinteressati. Si pensi, in due diverse dimensioni, al provvedimento amministrativo che deve essere adottato sulla base di un giudizio (su cui opportunamente riflette Martino, Prefazione, in Procedimento e processo, cit.,) ed ai procedimenti amministrativi attinenti a “criminal charges” e a” civil rights and obligations”, in cui la Corte EDU impone di rispettare le garanzie procedurali dell’art. 6 CEDU (e su cui v., per tutti, Follieri E, Art. 6 CEDU e pubblica amministrazione: dal procedimento al processo e ritorno, in Procedimento e processo, cit., 347 ss). Insomma, nella lenta ma inesorabile marcia del procedimento verso il processo ha il sapore di un paradosso che proprio il processo finisca col rinunciare all’imparzialità del decisore nel modo più occulto ed insidioso possibile (nascondendosi cioè dietro la tutela di asseriti “interessi superiori” e “valori costituzionali” diversi da quelli veicolati dalla domanda).



 

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