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Il nostro ordinamento giuridico contempla gli istituti della decadenza e prescrizione quali possibili effetti che il decorso del tempo origina sui diritti in conseguenza del mancato esercizio per un determinato periodo di tempo. Nello specifico, è previsto che si ha “decadenza” quando l’esercizio di un diritto risulta impedito a causa dell’infruttuoso decorrere di un determinato termine previsto dalla legge, mentre si ha “prescrizione” quando, sempre a causa dell’infruttuoso decorso di un termine di legge, una volta acquisito il diritto (avendo rispettato i termini di decadenza previsti dalla legge), il creditore non lo ha fatto valere nei confronti del debitore.

In ambito tributario, la Corte di Cassazione ha più volte affrontato la vexata quaestio concernente la validità della rateizzazione del debito fiscale ai fini interruttivi della prescrizione. Al riguardo, si segnala la recente ordinanza n. 9242/2024, ove i giudici di legittimità hanno ribadito il consolidato orientamento in materia, secondo cui la richiesta di rateizzazione del debito fiscale rappresenterebbe un atto valido a interrompere la prescrizione.

Il presente contributo ha lo scopo di approfondire la pronuncia citata previa ricognizione normativa dell’istituto in esame nonché dei precedenti giurisprudenziali sul punto.

Interruzione della prescrizione

Al fine di approfondire quanto brevemente anticipato in premessa, si rammenta che l’articolo 2934, cod. civ. stabilisce testualmente che: “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”.

La prescrizione estintiva è il meccanismo che determina l’estinzione del diritto in conseguenza di una prolungata inerzia da parte del suo titolare. Il principio secondo il quale il titolare del diritto che per lungo tempo sta senza esercitarlo lo perde, trova la sua ratio nell’esigenza di certezza delle situazioni e dei rapporti giuridici, nonché nel favor per l’uso produttivo delle risorse (nel senso che un diritto non esercitato è una risorsa economica non valorizzata dal titolare).

L’inizio della prescrizione è il momento in cui inizia a contarsi il tempo che potrà portare all’estinzione del diritto. In via generale, secondo quanto previsto dall’articolo 2935, cod. civ., tale momento coincide con quello in cui il diritto può essere fatto valere. È chiaro che, nel caso di credito non ancora scaduto, la prescrizione inizierà a decorrere soltanto dalla scadenza, atteso che sino a quel momento il creditore non può esigere il pagamento e non può nemmeno parlarsi di inerzia.

Il termine della prescrizione, invece, è il periodo di tempo trascorso il quale il diritto si estingue. La legge fissa termini diversi in relazione ai vari diritti, prevedendo un termine ordinario (10 anni) per la generalità dei diritti (ex articolo 2946, cod. civ.) e termini speciali per particolari categorie di diritti.

In materia tributaria, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che: “Il termine di decadenza consiste nel periodo di tempo entro cui l’Amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento, alla liquidazione delle imposte o all’iscrizione al ruolo delle stesse. La prescrizione, invece, consiste nel termine entro cui si estingue il diritto di credito già acquisito dall’Amministrazione finanziaria a seguito dell’attività di accertamento, individuandosi quale norma di riferimento l’articolo 2946, cod. civ. che in generale, per la totalità dei diritti, individua un termine di prescrizione per estinzione di dieci anni dal momento in cui il diritto può essere fatto valere[1].

Differente è il termine da applicare per i tributi locali, per i quali la prescrizione del relativo credito è assoggettato all’articolo 2948, cod. civ., secondo cui devono essere riscossi nel termine breve di 5 anni decorrente dal giorno in cui il tributo è dovuto o dal giorno dell’ultimo atto interruttivo tempestivamente notificato al contribuente[2].

In ogni caso, l’articolo 3, comma 3, L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) statuisce, espressamente, che: “I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”.

È d’uopo evidenziare che il decorso della prescrizione può arrestarsi per determinate cause, le quali hanno l’effetto di allontanare nel tempo la possibile estinzione del diritto. In particolare, si parla di interruzione della prescrizione quando viene compiuto un atto che “smentisce” il doppio presupposto su cui si fonda il meccanismo della prescrizione, ovvero l’inerzia del titolare del diritto e l’affidamento di controparte circa l’estinzione del diritto.

Gli atti interruttivi della prescrizione possono consistere innanzitutto in “atti provenienti dal titolare del diritto”, che rappresentino un esercizio del diritto stesso ex articolo 2943, cod. civ.. Nel dettaglio, tale disposizione normativa stabilisce che la prescrizione è interrotta:

  • dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo;
  • dalla domanda proposta nel corso di un giudizio (in questo caso, l’interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente);
  • da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale.

Oppure, gli atti interruttivi della prescrizione possono consistere in “atti provenienti da controparte” (e cioè dal titolare della situazione passiva), consistenti nel riconoscimento, anche implicito, del diritto altrui, ai sensi dell’articolo 2944, cod. civ., secondo cui: “La prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere”.

Ciò significa che la prescrizione, oltre che in presenza di atti provenienti dal creditore, può essere interrotta per effetto di una dichiarazione proveniente dallo stesso debitore. È il caso del c.d. riconoscimento del diritto altrui, previsto dal citato articolo 2944, cod. civ. fattispecie in cui il termine di prescrizione si interrompe per effetto della manifestazione di volontà con cui il soggetto passivo effettua il riconoscimento dell’altrui diritto.

In questo caso, detto altrimenti, a fronte dell’inerzia del titolare del diritto, è la condotta dello stesso debitore che evita il decorso del termine prescrizionale della pretesa creditoria. Sul punto, la Suprema Corte ha affermato che: “il riconoscimento non è soggetto a una forma vincolata e può estrinsecarsi sia in una dichiarazione scritta o verbale, sia in qualunque fatto che dimostri in modo inequivoco l’ammissione dell’esistenza del diritto[3]”.

Pertanto, l’effetto interruttivo della prescrizione: “può derivare da un qualsiasi comportamento che risulti incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore o anche da una manifestazione tacita di volontà[4].”

In tali circostanze, poi, sarà compito del giudice di merito valutare se una dichiarazione o un fatto costituisca riconoscimento idoneo a interrompere la prescrizione del diritto riconosciuto, ai sensi dell’articolo 2944, cod. civ. E naturalmente, i succitati principi dettati dal codice civile (ivi compreso quello per cui la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio) varranno anche in ambito tributario.

Da ultimo, si rileva che l’interruzione è funzionale a consentire un nuovo periodo di prescrizione a condizione che avvenga nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 2943, cod. civ., in quanto l’articolo 2945 , cod. civ. stabilisce che “per effetto dell’interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione”.

 

Rateizzazione e riconoscimento del debito

Con la recente ordinanza n. 9242/2024, la Corte di Cassazione ha dovuto nuovamente chiarire se l’istanza di rateizzazione del debito, presentata dal contribuente, possa configurare un riconoscimento del debito idoneo a interrompere la prescrizione ex articolo 2944, cod. civ..

Nel dettaglio, il caso di specie traeva origine dalla proposizione di una opposizione ex articolo 98, L.F., da parte della Società di Riscossione Spa, contro il decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento della Alfa Srl, con il quale erano stati ammessi solo in parte i crediti insinuati dall’opponente, ritenendoli per il resto prescritti, per intervenuto decorso del termine quinquennale dalla data di notifica delle cartelle a quella di deposito della domanda.

Tale ricorso veniva rigettato dal competente Tribunale che, condividendo la decisione impugnata, sosteneva che il termine di prescrizione non poteva ritenersi interrotto né dall’avvenuta comunicazione degli atti adottati ai sensi dell’articolo 77, commi 1 e 2, D.P.R. 602/1973 (preavviso e avviso di iscrizione ipotecaria), in quanto privi dei connotati richiesti dagli articoli 2943, comma 4, e 1219, cod. civ., né dai pagamenti eseguiti dalla società poi fallita, essendo quest’ultimi privi di qualsivoglia elemento atto a desumere una volontà della debitrice valevole ai sensi dell’articolo 2944, cod. civ..

Avverso tale rigetto la Società di Riscossione Spa ricorreva per cassazione sulla base di 4 motivi.

In particolare, ai fini che qui interessano, la ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 25, comma 2, D.P.R. 602/1973, articoli 1 e 6, D.M. 321/1999, nonché degli articoli 2718 e 2944, cod. civ., per avere il Tribunale negato valenza di atti interruttivi della prescrizione ai pagamenti rateali da essa documentati attraverso la produzione di estratti di ruolo inerenti a ciascuna cartella/avviso di addebito, insieme a un prospetto riepilogativo.

Nello specifico, la società di riscossione sottolineava che tali documenti dimostravano come i pagamenti erano stati eseguiti dalla società (poi fallita) a seguito dell’accoglimento delle istanze di rateizzazione presentate e che, quindi, il giudice aveva, erroneamente, ritenuto tali estratti privi di valenza probatoria in mancanza di produzione dell’accordo di rateizzazione, così come ritenuto necessario, nonché altrettanto erroneamente affermato che, affinché possa ritenersi integrato un atto interruttivo di riconoscimento del debito, è necessaria un’espressa manifestazione di volontà, laddove è invece sufficiente che il debitore abbia consapevolezza del debito e ponga in essere una condotta incompatibile con la volontà di disconoscerlo.

Ebbene, facendo leva su un orientamento ormai consolidato in materia[5], la Suprema Corte è partita dal presupposto che: “il riconoscimento dell’altrui diritto, al quale l’articolo 2944 cod. civ. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, in quanto atto giuridico in senso stretto, di carattere non recettizio, non richiede, in chi lo compie, una specifica intenzione ricognitiva, ma soltanto la volontarietà e la consapevolezza dell’esistenza del debito”.

Ad adiuvandum, essa ha richiamato il consolidato principio secondo cui[6]: “gli effetti della ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore valgono anche nei confronti del curatore fallimentare, in quanto deve presumersi l’esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova – il cui onere grava sull’organo della procedura – della sua inesistenza o invalidità”.

Pertanto, la Corte di Cassazione è giunta alla conclusione che la presentazione di una domanda di rateizzazione, implicando la conoscenza da parte del debitore delle cartelle esattoriali oggetto della rateizzazione, costituisce un implicito riconoscimento del debito.

Per i giudici di legittimità, quindi, il contenuto dell’accordo o delle istanze non è rilevante al fine di riconoscere o escludere la valenza di atto interruttivo di queste ultime; quel che conta è che le istanze siano state presentate e, per di più, siano state seguite da parziali pagamenti.

Nello specifico, ripercorrendo un iter già affrontato[7], la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “poiché il riconoscimento dell’altrui diritto, al quale l’articolo 2944 cod. civ. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, può anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore[8], ne deriva che, se è vero che l’istanza di rateizzazione del debito non costituisce acquiescenza in ordine all’an della pretesa tributaria[9], è anche vero che tale richiesta integra un riconoscimento del debito idoneo ad interrompere la prescrizione ex articolo 2944 cod. civ.”.

In definitiva, alla luce di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato.

 

Precedenti giurisprudenziali

Come sopra anticipato, la pronuncia in rassegna non fa altro che richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di domanda di rateizzazione del debito fiscale e interruzione della prescrizione.

In uno dei più recenti arresti giurisprudenziali sul punto (cfr. Cassazione, ordinanza n. 37389/2022), la Corte di Cassazione aveva già avuto modo di precisare che, in ordine al contenuto ricognitivo della richiesta di rateizzazione di debiti tributari, la domanda di rateizzazione proposta dal debitore, anche se corredata dalla formula di salvezza dei diritti connessi all’esito di accertamenti giudiziali in corso, unitamente ai pagamenti, anche parziali, dei ratei, configura un riconoscimento del debito tributario ai fini dell’articolo 2944, cod. civ., con conseguente interruzione della prescrizione, il cui nuovo termine decorrerà dalla scadenza delle singole rate.

Precedentemente, ma sempre negli stessi termini non appena riportati (cfr. Cassazione, ordinanza n. 14991/2022), la Suprema Corte aveva ravvisato la validità della richiesta di pagamento dilazionato del debito fiscale ai fini interruttivi della prescrizione, in quanto atto configurante un riconoscimento di debito. Ancora prima, con ordinanza n. 20261/2021, la Corte di Cassazione aveva già affermato i principi oggi contenuti nella pronuncia in rassegna, secondo cui il riconoscimento dell’altrui diritto costituisce un atto che non richiede una specifica intenzione ricognitiva, essendo sufficiente che esso contenga, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli i caratteri della volontarietà.

Pertanto, il riconoscimento del diritto può anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore. La relativa indagine, in quanto rivolta alla ricostruzione di un fatto e non all’applicazione di specifiche norme di diritto, è riservata al giudice del merito (cfr. Cassazione, ordinanza n. 24555/2010).

In definitiva, i precedenti giurisprudenziali intervenuti sul punto, che trovano tutti origine nella sentenza n. 10327/2017 della Cassazione, sono univoci nel ritenere che il riconoscimento del diritto, idoneo a interrompere il corso della prescrizione ex articolo 2944, cod. civ., non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito, ma può anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore. Per l’effetto, in ipotesi di rateizzazione del debito fiscale, la formula di salvezza dei diritti connessi agli esiti degli accertamenti giudiziali in corso non impedisce l’interruzione della prescrizione.

 

[1] Corte di Cassazione, ordinanza n. 21810/2022.

[2] L’applicazione di tale disciplina si fonda sulla natura periodica di tali tributi (Cassazione n. 9076/2017 e n. 13683/2020).

[3] Cassazione n. 4473/1980.

[4] Cassazione n. 926/1996, n. 12833/1999 e n. 1945/2003.

[5] Cassazione n. 26013/2015, n. 10327/2017, n. 20260/2021, n. 14991/2022 e n. 37389/2022.

[6] Cassazione n. 12567/2023, n. 34608/2023, n. 34609/2023, n. 34611/2023, n. 34624/2023 e n. 34692/2023.

[7] Cassazione n. 19401/2022.

[8] Cassazione n. 18904/2007.

[9] Cassazione n. 3347/2017, n. 12735/2020, n. 5549/2021.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso.

 

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