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Il CNDCEC ha pubblicato il 15 marzo il documento di ricerca “Ebitda e PFN a fini valutativi e negoziali”, in cui vengono analizzati due importanti indicatori di performance aziendali, utili nelle operazioni straordinarie. Nell’approfondimento viene fornita, in prima battuta, la definizione dei due indicatori e successivamente viene analizzata la modalità di calcolo con le osservazioni circa gli elementi da includere o meno all’interno di eventuali rettifiche ai fini negoziativi. Quali sono i consigli che i commercialisti forniscono alle imprese e ai consulenti?

L’Ebitda e la posizione finanziaria netta (PFN) sono due grandezze contabili a cui si ricorre nella frequentazione quotidiana del mondo aziendale per individuare i misuratori di performance, nonché nelle valutazioni di impresa, nell’effettuazione di operazioni straordinarie (fusioni o acquisizioni, anche cosiddette M&A).

L’Ebitda, acronimo di Earnings before interests taxes, depreciation and amortization, viene anche definito “indicatore alternativo di performance” in quanto, pur rappresentando una misura del risultato economico di un periodo aziendale, non è statuito da alcuno standard setter (né internazionale, né tantomeno italiano) e, in questo senso, è alternativo rispetto alle definizioni “ufficiali”.

L’Ebitda, pertanto, è una grandezza largamente utilizzata almeno come:

a) misuratore di performance economica nonché;

b) elemento alla base della valutazione dell’impresa.

Quale misuratore di performance economica l’Ebitda ha una forte valenza informativa. Il rapporto tra Ebitda e ricavi o valore della produzione di periodo individua il cosiddetto Ebitda margin che fornisce preziose indicazioni circa la profittabilità economica nonché la capacità di creare (o distruggere) valore dell’impresa in oggetto.

In frequenti applicazioni in ambito finanziario i due indicatori (Ebitda e PFN) sono impiegati congiuntamente per il calcolo di uno dei più comuni indici di sostenibilità finanziaria, il rapporto PFN/Ebitda, che assume una significativa valenza per svariati utilizzi quali la misurazione del merito creditizio e l’attribuzione di un credit rating, l’analisi della performance finanziaria di periodo e la scrittura di specifiche clausole di disciplina finanziari nei contratti di finanziamento (covenants).

Come calcolare l’Ebitda a fini valutativi

L’utilizzo dell’Ebitda a fini valutativi risponde a obiettivi centrati sulla misurazione della performance economica.

Per Ebitda è inteso il saldo tra il valore della produzione e i costi della produzione del bilancio della società, che corrisponde al reddito operativo (Ebit), escludendo dal calcolo del suddetto saldo le voci inserite nel bilancio: ammortamenti e svalutazioni.

È opportuno precisare come nell’impostazione qui proposta solo le svalutazioni delle immobilizzazioni vengano escluse dal calcolo dell’Ebitda, in quanto la svalutazione di una immobilizzazione riflette una perdita di valore economico del bene senza che a questa corrisponda una manifestazione monetaria. Non sono invece da escludere, le svalutazioni di crediti, che permangono quindi all’interno dei costi della produzione, poiché esse corrispondono a mancate entrate di cassa, e pertanto aventi anch’esse una natura assimilabile ai costi monetari. Analogamente, anche le voci di accantonamenti per rischi e altri accantonamenti non vengono escluse nel calcolo dell’Ebitda in quanto aventi natura monetaria.

Si evince, che gli elementi che compongono l’Ebitda sono caratterizzati da una presunta manifestazione finanziaria. Ciò, tuttavia, non vale per le seguenti voci:

– incrementi di immobilizzazioni per lavori interni: la contabilizzazione non ha alcun riflesso finanziario e il significato di includere tale posta quale elemento positivo dell’Ebitda è quello di sterilizzare esborsi finanziari che non sono serviti alla gestione ordinaria;

– altri ricavi: questa voce accoglie sia proventi che hanno un riflesso finanziario (es. vendita di rottami, recupero spese di trasporto) sia proventi che non hanno un riflesso finanziario nell’esercizio nel quale vengono contabilizzati (es. quota di un risconto passivo a fronte dell’ottenimento di contributi pubblici) o, infine, proventi che hanno un riflesso finanziario parziale (es. plusvalenze per cessione di cespiti);

– svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide: questa voce accoglie nella sostanza gli accantonamenti al fondo svalutazione crediti a fronte del probabile rischio di inesigibilità di taluni crediti commerciali;

accantonamenti per rischi ed altri accantonamenti.

Come calcolare l’Ebitda a fini negoziali

L’utilizzo dell’Ebitda a fini negoziali risponde ad obiettivi diversi da quelli sin qui considerati e centrati sulla misurazione della performance economica.

In questo caso, infatti, viene esaltata la capacità dell’Ebitda di esprimere la “normale generazione di cassa”, che comporta:

a) una rivisitazione della nozione di Ebitda;

b) l’inserimento di rettifiche volte a normalizzare l’Ebitda da componenti di costo o ricavo ritenute anomale, inusuali e/o straordinarie e quindi non ricorrenti.

Con il termine “Ebitda adjusted” è fatto esplicito riferimento all’Ebitda ottenuto tramite i calcoli della definizione precedentemente individuata con:

+ i costi di leasing finanziario;

– / + le rettifiche per le operazioni “non conformi al mercato”;

– / + eventuali ricavi o costi inusuali e non ricorrenti.

In realtà, alcune delle voci analizzate in precedenza, incluse nella definizione base di Ebitda, possono essere riconsiderate per fini negoziali tra cui:

– gli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni: quando la capitalizzazione diviene una circostanza piuttosto ricorrente e i fattori produttivi oggetto di capitalizzazione sono prevalentemente interni (es. costo del personale dedicato a sviluppare la costruzione in economia) si può notare la tendenza a eliminare detta voce dalla definizione di Ebitda a fini negoziali, sia perché incrementa impropriamente la generazione di cassa, sia al fine di evitare comportamenti opportunistici del venditore che potrebbe essere indotto a forzare le capitalizzazioni. Viceversa, quando tali costi sono prevalentemente esterni e legati ad un progetto ad hoc, è ragionevole includere la capitalizzazione delle spese nell’Ebitda in quanto sterilizza esborsi finanziari non ricorrenti;

altri ricavi: la quota periodica di risconto passivo a fronte dell’ottenimento di un contributo pubblico viene sovente rettificata in quanto componente non monetaria e, altresì, non della già citata coerenza con la PFN, in quanto normalmente la contabilizzazione del contributo è pressoché contestuale al relativo incasso che ha già migliorato la PFN: in questo caso il mantenimento nell’Ebitda della quota di risconto passivo condurrebbe ad un probabile double counting sotto l’aspetto valutativo;

svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide: tale voce di bilancio richiede degli sforzi in termini di normalizzazione che vengono svolti dal consulente che effettua la Due Diligence finanziaria; in altri termini, a partire dall’analisi dell’andamento delle perdite su crediti e delle svalutazioni di un periodo storico significativo, è individuata una misura ragionevole dei mancati incassi per perdite su crediti che, rapportati al volume d’affari nel periodo in oggetto, vengono tradotti in una percentuale di ricavi normalmente non incassati;

accantonamenti per rischi ed altri accantonamenti: anche in questo caso vengono effettuati degli approfondimenti sostanziali circa la natura di tali accantonamenti. Qualora l’accantonamento sia ricorrente e sia volto a misurare il probabile futuro esborso di cassa connesso al rischio, l’Ebitda determinato a fini negoziali potrebbe non richiedere specifiche rettifiche. Viceversa, quando l’accantonamento individui una transazione o un impegno qualificabili come specifici e non ripetibili, è preferibile escludere tale accantonamento dall’Ebitda.

Inoltre, ci sono ulteriori attività di rettifica dell’Ebitda, per finalità esclusivamente negoziali, che sono normalmente proposte in fase di Due Diligence finanziaria, come ad esempio:

– rettifica per mancata svalutazione crediti a fronte di conclamata e ricorrente inesigibilità di crediti commerciali;

– rettifica per mancata svalutazione delle rimanenze di magazzino a fronte della conclamata presenza di un fenomeno di obsolescenza tecnologica o commerciale;

– rettifica per mancati accantonamenti a fronte di fenomeni di gestione ricorrenti (garanzia prodotti stabilita ex lege, indennità suppletiva di clientela da riconoscere agli agenti);

– rettifica (negativa o positiva), per la normalizzazione di costi di struttura: trattasi di una rettifica (normalmente negativa) che misura l’eccessiva snellezza della struttura della società in oggetto che, in una situazione ordinaria, richiederebbe il sostenimento a regime di ulteriore forza lavoro e correlati maggiori costi;

– rettifica (negativa o positiva) ai compensi amministratori qualora siano palesemente sottostimati rispetto al contributo fornito (rettifica negativa) oppure sovrastimati rispetto alle ragionevoli attese connesse alla responsabilità specifica di amministrare una società con determinate complessità e dimensioni (rettifica positiva).

Come calcolare la posizione finanziaria netta ai fini valutativi

Una modalità di calcolo della posizione finanziaria netta (PFN) è data dalla prospettiva del bilancio civilistico e integrandola successivamente con gli elementi derivanti dall’applicazione dei principi contabili internazionali IFRS, degli standard delle autorità di regolamentazione dei mercati azionari europei (ESMA) e delle prassi professionali e negoziali in sede di operazioni straordinarie.

Il primo passo di definizione del calcolo della posizione finanziaria netta richiede l’individuazione delle voci rilevanti del bilancio civilistico.

In prima battuta l’attenzione è riposta alle poste del passivo dello stato patrimoniale.

In ragione di questa linea guida sono individuate le seguenti voci del bilancio civilistico:

Obbligazioni

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Obbligazioni convertibili

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso soci per finanziamenti

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso banche

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso altri finanziatori

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Le voci di bilancio sopra riportate individuano passività che per natura e senza dubbi mostrano una natura finanziaria, e pertanto sono produttive di interessi passivi.

Oltre a queste voci, possono esserne incluse anche altre del passivo di stato patrimoniale laddove sia rilevata una natura finanziaria e non commerciale o corrente: queste andranno incluse nel calcolo della posizione debitoria. Viceversa, laddove la connotazione sia di tipo commerciale o corrente, non saranno da considerare nel calcolo della PFN.

Tra le ulteriori voci del passivo che presentano una natura finanziaria abbiamo le seguenti:

Debiti rappresentati da titoli di credito

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso imprese controllate

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso imprese collegate

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso imprese controllanti

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Debiti verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Altri debiti

entro 12 mesi

oltre 12 mesi

Un discorso a parte va riservato ad una voce che desta sempre qualche controversia in merito alla sua inclusione o esclusione nel calcolo della PFN, ossia il trattamento fine rapporto (TFR).

Ossia, il fondo allocato al passivo che fa riferimento al contributo di liquidazione da corrispondere ai lavoratori subordinati al termine del rapporto di lavoro.

In un’impostazione aziendalistica, tale fondo sarebbe da considerare come parte della gestione corrente, poiché da esso originato. In tal senso sarebbe, quindi, da escludere dal calcolo della PFN, in quanto posta di matrice non finanziaria.

Contrariamente, secondo una impostazione internazionale, il TFR è a tutti gli effetti da considerare un debito assimilabile ai debiti finanziari, in quanto richiedente una rivalutazione periodica, e quindi di fatto produttivo di oneri finanziari nel bilancio aziendale.

Pertanto, il calcolo della PFN può essere ricondotto alla seguente equazione:

Posizione finanziaria netta = Debiti finanziari (interest bearing debt) + Debiti assimilabili ai debiti finanziari (debt like items) + TFR e TFM – Cassa e disponibilità liquide (cash) – Attività assimilabili alla cassa (cash equivalents)

Come calcolare la posizione finanziaria netta ai fini negoziali

Come per l’Ebitda, anche per la PFN sono osservabili delle variazioni di calcolo applicate nella prassi professionale in contesti negoziali all’interno di operazioni straordinarie.

Gli aggiustamenti più ricorrenti che vengono adottati per il calcolo della PFN nelle operazioni di M&A sono:

debiti correnti scaduti: un correttivo spesso praticato è quello di considerare come assimilabili ai debiti di natura finanziaria i debiti correnti scaduti da una certa data (comunemente concordata in 30 o 60 o 90 giorni), con conseguente variazione in aumento della PFN. Tale aggiustamento viene proposto non solo per connotare come “debt-like” una parte dei debiti correnti il cui pagamento non è ancora stato regolarizzato, ma anche per prevenire comportamenti opportunistici della parte cedente prima della chiusura dell’operazione di cessione e finalizzati quindi alla massimizzazione della posizione di cassa;

pagamenti non ancora effettuati di dividendi già deliberati: analogamente al caso precedente, qualora non sia stato ancora effettuato il pagamento di dividendi già deliberati, il corrispondente importo è da includere nel calcolo della posizione debitoria, poiché trattasi di una uscita di cassa solo differita nel tempo, che successivamente alla chiusura dell’operazione andrebbe a gravare sulla parte acquirente;

debiti infragruppo infruttiferi: qualora fossero rilevati dei debiti infragruppo infruttiferi, aventi la consistenza di prestiti “ponte” tra la controllante e la controllata/collegata, questi vengono per prassi inclusi nella posizione debitoria aziendale perché connotati come assimilabili ai debiti di natura finanziaria, sebbene non siano produttivi di interessi passivi;

crediti e debiti fiscali dell’esercizio in corso: in presenza di debiti e crediti fiscali relativi all’esercizio in corso è prassi considerare una variazione rispettivamente in aumento e in diminuzione della posizione debitoria aziendale poiché anche queste poste sono riferite a movimenti di cassa solo differiti nel tempo e quindi in grado di impattare sulla consistenza della cassa che l’acquirente preserverà dopo la conclusione dell’operazione di acquisizione;

mancate svalutazioni di magazzino o svalutazioni di crediti: qualora emergessero durante verifiche contabili in sede di Due Diligence delle svalutazioni “una tantum” di poste di magazzino o di crediti non coperte da pregressi accantonamenti a fondi rischi, tali svalutazioni sono riportate come voci in aumento della posizione debitoria netta dell’azienda, in quanto il corrispettivo di cassa relativo alla liquidazione della parte svalutata del magazzino o dei crediti non verrà riscosso da parte dell’acquirente;

merci in viaggio: nel caso fosse rilevata, in sede di verifiche contabili e gestionali, la presenza di merce, già ordinata e spedita, ma non ancora pagata, l’importo corrispondente dovrà essere inserito come una voce in aumento alla posizione finanziaria netta, poiché la successiva fuoriuscita di cassa andrà a ridurre la cassa disponibile per l’acquirente;

passività originate da derivati finanziari valutate a valori di mercato (“mark-to-market”): in presenza di perdite su strumenti derivati valutati a prezzi di mercato, tali passività, sebbene ancora non registrate in bilancio, vengono da prassi trattate come elementi incrementali della posizione debitoria aziendale, poiché precedono un impatto negativo sulla cassa che verrà subìto dall’acquirente;

debiti nei confronti di fornitori a fronte di spese per investimenti (“capex”);

bonus/incentivi al management e ai dipendenti già deliberati ma non ancora pagati.

Quali sono le conclusioni

Abbiamo, con il documento tecnico elaborato dalla Commissione di studio “Valutazioni per il bilancio” del Consiglio nazionale dei commercialisti, uno strumento utile da utilizzare nel quotidiano, che si focalizza sulle due grandezze contabili, e cui si ricorre frequentemente, per individuare misuratori di performance agili e condivisibili nelle operazioni di M&A.

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