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Con la recente ordinanza n. 13735 del 2 maggio 2022, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sulla qualificazione giuridica delle operazioni di cartolarizzazione dei crediti. Queste operazioni, poste in essere principalmente dagli istituti di credito, generano sin dal loro ingresso nel nostro ordinamento una serie di questioni, di natura sostanziale e processuale, che hanno spinto il legislatore ad intervenire con una disciplina ad hoc, la legge n. 130 del 1999 (di recente oggetto di modifica con la legge n. 178 del 2020 – la legge di bilancio 2021) entrata in vigore il 29 maggio dello stesso anno, risultato del provvedimento governativo proposto il 7 luglio 1998 dall’onorevole Ciampi, allora Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica. Con la pronuncia in esame, la giurisprudenza di legittimità è tornata sul tema della titolarità passiva in capo alla società cessionaria dei crediti cartolarizzati e ha riaffermato che non è consentito al debitore ceduto di proporre, nei confronti della cessionaria, eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate su crediti vantati verso il cedente, nascenti dal rapporto intercorso con quest’ultimo.

Cenni introduttivi alla fattispecie e gli ostacoli posti dalla disciplina civilistica

Occorre preliminarmente tracciare le linee essenziali della struttura e della ratio dell’istituto della cartolarizzazione. Si tratta di una operazione finanziaria complessa, scindibile in due fasi:

  • nella prima, la società cedente (cd. Originator) cede (in blocco o singolarmente) ad una società cd. veicolo, (Special Purpose Vehicle – S.P.V.) a titolo oneroso, i crediti pecuniari di cui è titolare;
  • per finanziare l’acquisto dei crediti della cedente, nella seconda fase, la società veicolo provvede all’emissione di titoli (i cd. Assed Backed Securities – A.B.S) destinati alla circolazione. Mediante la provvista conseguita col recupero dei crediti acquistati, la società veicolo provvede al rimborso dei titoli emessi.

La cartolarizzazione dei crediti, oltre ad operare una ripartizione dei rischi delle operazioni finanziarie su un mercato più ampio, contribuisce alla trasformazione dell’attivo immobilizzato in liquidità: non a caso la cartolarizzazione è un’attività posta in essere principalmente dagli istituti di credito, i quali mediante la cessione dei loro crediti deteriorati (meglio noti come NPLs) ottengono il cd. smobilizzo delle sofferenze, con importanti conseguenze sul loro equilibrio patrimoniale e sull’intero mercato finanziario.

Tornando alla struttura dell’operazione di cartolarizzazione, si nota come la prima fase ricalca lo schema tipico della cessione dei crediti; mentre la seconda è caratterizzata dai contratti relativi all’emissione dei titoli, con lo scopo di regolare le attività e le relazioni tra i soggetti che partecipano all’operazione (vi rientrano, ad esempio, i contratti di gestione della cassa e dei pagamenti, il cash allocation, management and paymentagreement cd. CAMPA e il contratto di mandato stipulato tra la società veicolo e il rappresentante dei portatori dei titoli – representative of the noteholders – nell’interesse e a favore di questi ultimi nonché degli altri creditori dell’emittente, ai sensi dell’art. 1723 cod. civ.)

L’architettura negoziale dell’operazione di cartolarizzazione ha incontrato, nel nostro ordinamento, diversi ostacoli, scaturenti dai rapporti tra i soggetti coinvolti e il patrimonio della società veicolo.

Il nostro codice civile, infatti, all’art. 2740 fissa il principio della responsabilità patrimoniale, per cui il patrimonio assume una funzione di garanzia nei confronti dei creditori e dei terzi, salvo deroghe previste dalla legge. Ciò significa che per porre in essere l’operazione di cartolarizzazione, la società veicolo emittente avrebbe dovuto dotarsi di ingenti mezzi patrimoniali al fine di assicurare i diritti dei sottoscrittori dei titoli, minando l’efficacia, oltre che l’economicità e l’effettiva utilità dell’operazione di cartolarizzazione. In assenza di una legge ad hoc che legittimasse la creazione di un patrimonio separato, in un primo momento, il problema è stato superato coinvolgendo nell’operazione soggetti giuridici di diritto estero, in modo da separare la fase di acquisizione dei crediti da parte della società veicolo da quella di emissione dei titoli.

Il secondo ostacolo discendeva, invece, dal fatto che ai sensi dell’art. 2412 cod. civ. una società può emettere obbligazioni per una somma non eccedente il capitale versato ed esistente secondo l’ultimo bilancio approvato. Nell’ambito di una operazione di cartolarizzazione, la società che emette titoli non può essere soggetta a questo limite, pena l’impossibilità pratica di avviare l’operazione.

Ulteriore ostacolo si riscontrava nell’art. 1264 cod. civ. secondo cui la cessione produce effetti nei confronti del debitore ceduto soltanto dal momento dell’accettazione o della notifica nei suoi confronti: dal punto di vista pratico, ciò costituiva un ostacolo all’operazione non appena essa assumesse rilevanti dimensioni.

L’analogia con il factoring

Prima dell’introduzione della legge 130 del 1999, si tentò l’applicazione, in via analogica, dei principi contenuti nella legge sul factoring (legge n. 52 del 1991). Questo contratto atipico di origine anglosassone, tuttavia, ha scopi e funzioni diversi rispetto alla cartolarizzazione. Con il contratto di factoring, infatti, l’impresa produttrice di beni o servizi cede, dietro corrispettivo, i propri crediti presenti o futuri ad una società di factoring (che può essere un’azienda di credito o qualsiasi altra impresa iscritta in apposito albo). Seppur, strutturalmente, l’oggetto del contratto è la cessione di credito, le funzioni che questo può realizzare sono diverse: una funzione di gestione, in quanto il factor amministra i crediti curandone la riscossione, anche ricorrendo alla esecuzione forzata; una funzione di finanziamento, in quanto la società anticipa all’impresa l’importo dei crediti acquistati; una funzione di assicurazione, in quanto, di regola, il factor acquista il credito pro soluto assumendo il rischio della insolvenza del debitore.

La principale differenza tra l’operazione di cartolarizzazione e quella di factoring è data dal fatto che il factor ha come interesse la realizzazione di utili, mentre la società veicolo, anche se qualificabile sotto il profilo giuridico come imprenditore commerciale, dal punto di vista economico non ha altro interesse se non quello di tutelare, a sua volta, gli interessi dei portatori dei titoli.

Non di meno, il riferimento alla normativa del contratto di factoring legittimava tutt’al più il primo passaggio dell’operazione di cartolarizzazione, cioè la cessione del credito. Mentre nella fase di emissione dei titoli rimaneva necessario il coinvolgimento di una società estera, pur essendo i titoli successivamente suscettibili di essere negoziati anche in Italia.

La legge n. 130 del 1999

Il legislatore con la legge del 30 aprile 1999 n. 130, oltre a definire la struttura delle società veicolo e la loro attività principale ed esclusiva (che è quella di effettuare una o più operazioni di cartolarizzazione ed emettere obbligazioni, partecipazioni di fondi di cartolarizzazione e altri strumenti di debito e/o strumenti finanziari derivati), è intervenuto con l’obiettivo di derogare opportunamente ai principi generali che ostacolavano il raggiungimento del buon fine dell’operazione di cartolarizzazione, lasciando al contempo ampio spazio all’autonomia contrattuale degli operatori economici per rispondere all’esigenza di dinamicità tipica dei mercati finanziari. In particolare, il legislatore ha previsto:

  • a) che i crediti oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione possono costituire un vero e proprio “patrimonio separato”, ad ogni effetto, rispetto a quello della società veicolo e rispetto a quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione, per cui non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi (art. 3 co. 2)
  • b) che si possa provvedere all’acquisto dei crediti mediante l’emissione di titoli, senza sottostare ai limiti di cui all’art. 2410 cod. civ. (art. 5 co. 2)
  • c) una deroga agli obblighi di notifica al debitore previsti dall’art. 1264 cod. civ.: la cessione dei crediti è efficace sin dal momento della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione sulla Gazzetta Ufficiale e mediante iscrizione al registro delle imprese, ai sensi dell’art. 58 co. 2, 3 e 4 del T.U.B. nonché all’art. 5 co. 1, 1 bis e 2 della legge n. 52 del 1991. (art. 4)

Il regime delle eccezioni proponibili dal debitore ceduto

L’espresso richiamo ai soli commi 2, 3 e 4 dell’art. 58 del T.U.B. – rubricato Cessione di rapporti giuridici –  ha generato ulteriori dubbi relativamente al regime delle eccezioni proponibili dal debitore ceduto nei confronti del cessionario.

In assenza di specifici riferimenti normativi (se non riguardo all’eccezione di compensazione ex art. 1248 cod. civ.) sarebbero applicabili i principi – ormai consolidati – elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di cessione dei crediti.

In linea generale, è stato detto che il debitore non può in alcun modo influire sui mutamenti soggettivi ex latere creditoris (tranne nei casi in cui il rapporto di credito è caratterizzato dall’intuitu personae e dunque il debitore ha interesse a che il creditore rimanga lo stesso) poiché, in forza del vincolo negoziale, egli è obbligato ad adempiere al suo creditore, del tutto indifferentemente rispetto alla qualificazione soggettiva da egli rivestita, sia quest’ultimo cedente o cessionario. Tanto trova conferma nel fatto che la notificazione (e la relativa accettazione) della cessione al debitore ceduto non rappresenta un elemento costitutivo del negozio ma, come sostenuto in dottrina (tra cui P. Perlingieri), si tratta di una dichiarazione di scienza funzionale, esclusivamente, a consentire al debitore la corretta individuazione della parte attiva del rapporto obbligatorio: una volta venuto a conoscenza della cessione, infatti, il debitore non potrà avvalersi delle tutele previste dall’ordinamento ex art. 1189 cod. civ.

Considerato, perciò, che la cessione può avvenire senza (o addirittura contro) la volontà del debitore ceduto, è escluso che la sua posizione possa essere in qualche misura pregiudicata dalla cessione. Dunque, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto ammissibile che il debitore ceduto opponga al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, comprese quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito ceduto (Bianca) e quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto, dunque l’eccezione di pagamento o di prescrizione (sul punto, si veda Cass. civ. sent. n. 1257 del 05.02.1988) purché sorti anteriormente all’accettazione o alla notifica della cessione.

Rispetto all’iter argomentativo fin qui enunciato, nel caso specifico della cessione del crediti sottesa all’operazione di cartolarizzazione, la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, sent. 30 agosto 2019, n. 21843) è giunta a conclusioni del tutto differenti: ha ritenuto, infatti, che nell’ambito delle operazioni di securitisation, siccome i crediti generano un patrimonio separato rispetto al patrimonio della società veicolo e a destinazione esclusiva, ai sensi della legge n. 130 del 1999, il debitore ceduto non può proporre nei confronti del cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate sui crediti vantati verso il cedente e sorti nel rapporto con quest’ultimo.

La Corte ha concluso, dunque, per il difetto della titolarità passiva della società cessionaria: diversamente, sarebbe annullata – quasi per sublimazione – la distinzione tra la cessione del credito e la cessione del contratto. Le due fattispecie sono differenti sia sul piano strutturale che sul piano degli effetti: nella cessione del contratto si verifica il trasferimento dell’intero rapporto contrattuale, nelle sue componenti attive e passive pertanto devono essere rispettati i principi generali della non tangibilità della sfera giuridica altrui e della relatività degli effetti contrattuali. Per questo, affinché la cessione si perfezioni è necessaria l’accettazione del ceduto.

Dunque, il debitore ceduto non può opporre al cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali scaturenti dalle vicende relative al rapporto con il cedente, pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione previsto dall’art. 1, comma 1, lett. b, della legge n. 130 del 1999. Il patrimonio della società veicolo, generatosi dal flusso di liquidità dell’incasso dei crediti, è funzionale in via esclusiva al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell’operazione e, dunque, può essere esposto soltanto ai rischi derivanti dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perché non soddisfatti dai debitori ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione – ma non anche a che siano soddisfatti altri creditori.

Tale divieto posto a carico del debitore ceduto, pertanto, «risponde alla logica di salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione vincolata” cui dà vita l’operazione cartolarizzazione», che, come abbiamo visto, rappresenta il cuore pulsante della legge n. 130 del 1999. Indicativo, in questo senso, il mancato richiamo della legge 130 del 1999 al comma 5 dell’art. 58 del T.U.B., che consente al creditore ceduto di chiedere, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione.

Il caso in esame

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in epigrafe, ha esaminato il caso di una Banca che a titolo di canoni di un contratto di leasing non pagati, ha chiesto e ottenuto dal giudice un decreto ingiuntivo nei confronti della società Alfa, la quale ha proposto opposizione, poi respinta dal Tribunale. Le censure mosse contro la sentenza di rigetto dell’opposizione sono state accolte dalla Corte d’appello che ha condannato al pagamento di quanto dovuto in favore della Società Alfa la nuova titolare dei crediti della Banca, la cessionaria Beta Securitisation, in giudizio per il tramite di una società procuratrice.

La società procuratrice di Beta Securitisation ha proposto ricorso in Cassazione, articolando quattro motivi:

  • i. il difetto di legittimazione passiva, deducendo di essere unicamente parte processuale, ma non sostanziale, in quanto non ha agito in proprio ma in qualità di procuratrice della suddetta società;
  • ii. il difetto di legittimazione in senso sostanziale, in quanto ha agito in giudizio in veste di mero cessionario del credito ceduto dall’istituto di credito ai sensi dell’art. 58 del T.U.B. e degli artt. 1 e 4 della legge n. 130 del 1999; con i motivi
  • iii. e iv. deduce, inoltre, l’erronea qualificazione giuridica del contratto di leasing oggetto di causa.

La Corte di Cassazione, dopo aver dichiarato l’inammissibilità del primo motivo, in quanto, ribadisce, «non può essere attribuita la rappresentanza processuale quando non risulti conferita al medesimo soggetto anche la rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio […]», ha ritenuto fondato e ha accolto il secondo motivo di ricorso. Richiamando il precedente giurisprudenziale (la già citata Cass. civ. Sez. 3 n. 21843 del 30.08.2019), la Corte ha ribadito che i crediti oggetto di cartolarizzazione, ai sensi della legge 130 del 1999, costituiscono patrimonio separato della società veicolo, destinati in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti e al pagamento dei costi dell’operazione, «sicché non è consentito al debitore ceduto proporre nei confronti del cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate sui crediti vantati verso il cedente nascenti dal rapporto con quest’ultimo intercorso

Dunque, ha concluso statuendo che il pagamento dell’importo oggetto di condanna non può esigersi dalla società Beta Securitisation, in giudizio tramite la sua procuratrice: si finirebbe, altrimenti, per andare ad intaccare la natura di patrimonio separato a destinazione vincolata generato dalla riscossione dei crediti cartolarizzati e a compromettere gli interessi del pubblico dei risparmiatori, ai quali, in via esclusiva, spetta il valore del medesimo.

Conclusioni

La conclusione cui è giunta la Corte con la pronuncia in esame – che è solo la seconda sul punto – è in linea con la ratio della legge 130 del 1999, che all’art. 4 co. 2 dispone che «non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data».

Tuttavia, resta da comprendere in che modo le conseguenze applicative della suddetta interpretazione non finiscano per stridere con la tutela della sfera soggettiva del debitore ceduto, il quale, come è stato più volte ribadito, non essendo parte negoziale nel contratto di cessione non può in alcun modo esserne svantaggiato.

In un eventuale giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il debitore ceduto dovrà opporsi all’estromissione della cedente e, verso quest’ultima, orientare le proprie pretese (che in questa sede presumiamo legittime). Si pensi, a titolo esemplificativo, alla domanda di ripetizione di indebito scaturente dalla dichiarazione di nullità dei contratti bancari, in relazione alla forma o alla erronea capitalizzazione degli interessi, come nei casi di usura e anatocismo. Il rischio, per il ceduto, è quello di vedersi opposta una eccezione di carenza di titolarità in capo alla cedente, “spogliata” dei suoi diritti proprio in ragione dalla cessione, nell’incertezza relativamente al momento in cui sorge la pretesa, data l’efficacia retroattiva della dichiarazione di nullità.

Non è da sottovalutare il dovere – desumibile dall’art. 1266 cod. civ., applicabile alle cessioni a titolo oneroso – in capo al cedente di garantire al cessionario l’esistenza del credito, che non sia «ancora – per qualsiasi motivo – estinto al tempo della cessione», compresa la garanzia da nullità del credito. Si configura, secondo Cass. civ. sent. n. 13853 del 2020 una obbligazione accessoria del contratto di cessione.

Per quanto riguarda, invece, la tutela del pubblico dei risparmiatori, cui è esclusivamente destinato il patrimonio della società veicolo, è da dire che questi sarebbero maggiormente tutelati se, a monte, si operasse una migliore misurazione e gestione del rischio da parte degli istituti di credito, i quali sono avvezzi al trasferimento di crediti ad alto rischio di insolvenza, complici le carenze della disciplina legislativa e regolamentare incidente sugli obiettivi specifici di trasparenza e di tutela, non solo degli investitori, ma anche dell’intero sistema finanziario. Ad esempio, in tema di rating, la legge 130 del 1999 all’art. 2 ha previsto l’obbligatorietà della valutazione del merito del credito da parte di operatori terzi, aventi requisiti di professionalità e indipendenza, esclusivamente nel caso in cui l’operazione di cartolarizzazione sia gestita da investitori non professionali. In questo contesto, la posizione del debitore ceduto non può essere considerata secondaria rispetto agli interessi dei sottoscrittori dei titoli, come tali “naturalmente” esposti al rischio.



 

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