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Articolo in aggiornamento

Con due sentenze, la numero 139 e la numero 140, la Corte Costituzionale conferma il meccanismo del payback imposto sulle imprese produttrici di dispositivi medici erogati alle strutture sanitarie sulle cifre eccedenti i tetti di spesa.

In un comunicato stampa pubblicato sul sito, la Corte ricorda che, in riferimento al periodo 2015-18, in base alle norme contenute nell’art. 8 del decreto legge n. 34 del 2023, fosse stato istituito “un fondo statale da assegnare pro-quota alle Regioni” e consentito alle imprese fornitrici dei dispositivi di versare solo il 48% della rispettiva quota di ripiano, a condizione che rinunciassero a contestare in giudizio i provvedimenti relativi all’obbligo di pagamento.

Prima sentenza

“La Corte – si legge nel testo del comunicato – si è occupata dapprima, su ricorso della Regione Campania, delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso. La conseguenza è che a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento”.

Seconda sentenza

Con la successiva sentenza n. 140 la Corte, su rimessione del TAR Lazio, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità̀ costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018. “La Corte – si legge ancora – ha precisato che, in relazione a tale periodo, il legislatore ha dettato una disciplina apposita per il ripiano dello sforamento dei tetti di spesa, e le Regioni, con propri provvedimenti, hanno richiesto alle imprese le somme da esse dovute”.

Criticità rilevate

La Corte riconosce le luci e le ombre del meccanismo: “La sentenza – si legge nel comunicato – ha rilevato che il payback presenta di per sé diverse criticità̀, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art. 41 Cost., quanto al periodo 2015- 2018. Esso, infatti, pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico- finanziaria di grave difficoltà”.

Non sproporzionato

“Il meccanismo – secondo i giudici – non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della citata sentenza n. 139. Inoltre, la Corte ha osservato che la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. per l’imposizione di prestazioni patrimoniali”. Infine, “la sentenza 140 ha precisato che la disposizione censurata non ha natura retroattiva, in quanto il comma 9-bis dell’art. 9-ter, introdotto nel 2022, si è limitato a rendere operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, senza influire, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento che le parti private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici”.

Le prime reazioni. Per Fifo Sanità 1400 imprese verso il fallimento, stop delle forniture di dispositivi medici e cure negli ospedali a rischio

Intanto iniziano ad arrivare le prime reazioni alla sentenza della Consulta da parte delle associazioni di categoria. E si parla già di forniture di stop alle forniture di dispositivi medici e cure negli ospedali a rischio.

“La sentenza della Consulta ci lascia sbigottiti – dichiara Sveva Belviso, presidente di Fifo Sanità Confcommercio – Gli errori della classe politica non dovrebbero mai ricadere su imprese e lavoratori: il payback genererà una crisi senza precedenti da un punto di vista economico, occupazionale e sanitario. Secondo lo studio Nomisma commissionato da FIFO Sanità, rischiano il fallimento oltre 1400 aziende e il licenziamento 190mila addetti ai lavori. Verrà meno una gran parte della fornitura agli ospedali di dispositivi medici anche salvavita come stent, valvole cardiache e quant’altro. Ci chiediamo come il personale sanitario riuscirà a garantire le regolari cure ai cittadini negli ospedali”.

“È urgente un confronto con il Governo Meloni per risolvere una situazione che sta precipitando. Da anni, ancor prima dell’uscita dei decreti attuativi del Governo Draghi, abbiamo chiesto con forza l’istituzione di tavoli tecnici per definire una strategia di superamento del payback, ma, nonostante i nostri sforzi sia a livello nazionale che regionale, nessuna parte politica ha preso seriamente in considerazione l’emergenza del nostro settore”.

“Oggi – conclude la presidente Belviso – si chiedono 1.2 miliardi alle imprese su bilanci già chiusi in forma retroattiva per gli sforamenti delle Regioni maturati fino al 2018 e altri miliardi per gli anni successivi. Ci sono aziende che hanno un payback di oltre il 100% del proprio fatturato: l’unica soluzione per queste sarà portare i libri in tribunale, lasciare a casa migliaia di lavoratori con gravi danni per le forniture di dispositivi medici agli ospedali. Non ci fermeremo, perché non abbiamo alternative. Per questo, qualora le Istituzioni continuassero ad ignorarci, valuteremo nell’immediato con i vertici della Federazione, le imprese e i nostri legali un’interruzione delle forniture di dispositivi medici a livello nazionale”.

Una storia infinita chiamata payback dispositivi medici

Poco più di un anno fa AboutPharma si interrogava su chi avrebbe potuto disinnescare la bomba del payback: se il Governo, il Tar o la Corte Costituzionale.

Ora sappiamo che anche da quest’ultima non è arrivata la parola fine a una norma che, a più riprese, è stata definita dannosa (da parte delle aziende) e con potenziali profili di incostituzionalità (da parte del Tar).

La questione nel tempo ha assunto i connotati di una vera e propria telenovela. Qui proviamo a riassumere brevemente le puntate più significative, così come questo giornale ha provato a raccontarle nel corso di questi mesi.

Payback dispositivi medici, quando nasce e cosa prevede

La misura del payback sui dispositivi medici è simile a quella del payback sulla spesa farmaceutica, che esiste nel nostro ordinamento dal 2008 e che ha creato e continua a creare nel tempo enormi contenziosi.

Ai fornitori di dispositivi medici viene chiesto di rimborsare il 50 per cento del superamento degli scostamenti dal tetto di spesa regionale stabilito a inizio anno, oggi stabilito nella misura del 4,4% del Fondo sanitario nazionale.

Tale strumento nasce nel 2011 (Governo Berlusconi), con il decreto legge 98/2011 (convertito nella legge 111/2011) che all’articolo 17 ha stabilito che la spesa dei dispositivi medici sostenuta dal Servizio sanitario nazionale dovesse essere fissata entro tetti stabiliti dai decreti ministeriali di anno in anno (soglie percentuali aumentate di anno in anno).

La stessa norma ha stabilito inoltre che in caso di sforamento dei tetti stabiliti, gli eventuali ripiani avrebbero dovuto essere a carico delle Regioni che avessero concorso allo sforamento.

Solo successivamente, l’articolo 9-ter del decreto 78/2015 (convertito nella legge 125/2015 – Governo Renzi) ha previsto che una parte dello sforamento del tetto per l’acquisto dei dispositivi medici venisse posto a carico delle aziende fornitrici, introducendo così il cosiddetto payback.

Introdotto con il decreto “Aiuti bis”

Qualche anno più tardi il sistema del payback è stato inserito nel decreto legge “Aiuti bis” (n.115/2022, Governo Draghi), che, con l’articolo 18, definisce le regole per l’applicazione di un sistema di compartecipazione delle imprese allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria per gli anni che vanno dal 2015 al 2018 (inclusi) e obbliga l’industria del settore a un esborso di oltre due miliardi.

Con il decreto del Ministero della Salute del 6.9.2022, pubblicato in G.U. 15.9.2022 sono così state certificate le annualità 2015, 2016, 2017 e 2018. Nell’ottica di accelerare il meccanismo, il citato decreto prevede che entro il 15 ottobre il Ministero, d’intesa con la Conferenza Stato Regioni, adotti delle linee guida per la redazione delle richieste di riappiano alle aziende produttrici di dispositivi medici.

Mentre con il decreto del Ministero della Salute del 6 ottobre 2022, pubblicato in G.U. il 26.10.2022 sono state implementate le linee guida propedeutiche all’emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali in tema di ripiano del superamento del tetto dei dispositivi medici per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018.

Entro 90 giorni dal decreto del 15 settembre, cioè entro 15 dicembre, infatti, le Regioni avrebbero dovuto adottare i provvedimenti con i quali quantificano le somme che ciascuna azienda produttrice è tenuta a restituire.

È importante precisare che ogni azienda fornitrice concorre all’obbligo di restituzione in proporzione all’incidenza del fatturato per ogni anno (2015, 2016, 2017 e 2018) sul totale di spesa regionale.

Al via un tira e molla senza fine

Da quel giorno è iniziato un vero e proprio braccio di ferro tra le aziende e le istituzioni. Le prime hanno subito fatto sapere l’intenzione di mettersi sul piede di guerra, minacciando (e poi scatenando) una valanga di ricorsi presso i tribunali amministrativi con l’intento di tutelarsi fin da subito.

La situazione ha scatenato così tante incertezze tra le aziende, da portare gli imprenditori (siamo a gennaio 2023) a scendere in piazza per protestare, all’indomani di una prima proroga (di quattro mesi) annunciata inizialmente dal Governo Meloni.

In quel contesto l’allora presidente di Confindustria dispositivi medici Massimiliano Boggetti, intercettato da AboutPharma si espresse così: Prorogare di quattro mesi non cambia nulla. È un tempo che serve per sedersi a capire. Sono anni che chiediamo la costituzione di questo tavolo che viene promesso ma poi nella sostanza viene bocciato dalla Ragioneria dello Stato. Trattativa proficua per noi? Significa semplicemente che il payback deve essere cancellato. Non c’è motivo alcuno per cui l’industria debba farsi carico delle spese che le Regioni hanno sostenuto per curare i propri cittadini. È evidente che l’unica strada per noi è quella che il payback venga cancellato, trovando le risorse per coprire i 2,2 miliardi”.

Verso una sanità a due velocità?

Qualche mese dopo, in una lettera inviata al Governo, lo stesso Boggetti lanciava il campanello d’allarme su un possibile scenario di una sanità a due velocità, qualora il payback sui dispositivi medici non fosse stato cancellato. “L’inevitabile conseguenza, – scriveva Boggetti – sarebbe la creazione di due sanità: quella privata per chi se la può permettere, con cure e tecnologie di qualità, e quella pubblica con cure e strumenti obsoleti e scadenti per gli altri. Per questi motivi, ci auguriamo che una misura insensata come il payback venga cancellata senza creare ulteriori e altrettanto gravi problemi”.

Un allarme più che giustificato, anche perché i numeri di un potenziale impatto di tale tassa sulle aziende non lascia presagire nulla di buono. Quelli di Nomisma, per esempio, ipotizzavano oltre 1.400 aziende e 190 mila posti di lavoro a rischio. Evidenze emerse dallo studio “L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici”, commissionato da Pmi Sanità e da Fifo Sanità Confcommercio.

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