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Se l’ambiente continua a degradarsi al ritmo attuale le perdite per i crediti delle banche saranno tre volte in media più grandi di quelle in uno scenario Paris-aligned. Emerge anche un elevato rischio di transizione: poche banche finanziano la maggior parte delle attività che causano perdita di biodiversità

Il 72% di tutti i prestiti alle imprese non finanziarie dell’area euro sono «dipendenti in maniera critica da almeno un servizio ecosistemico», ossia dai benefici multipli forniti dagli ecosistemi, e sperimenterebbero significativi problemi economici in caso di degrado ambientale. Lo indica la Banca centrale europea in una analisi appena pubblicata sugli impatti economici e finanziari della perdita di biodiversità. Come conseguenza di questa dipendenza, lo studio (“Economic and Financial impacts of nature degradation and biodiversity loss”), sottolinea come «i portafogli crediti possano essere impattati significativamente se l’ambiente continua a degradarsi al ritmo attuale», con perdite tre volte in media più grandi di quelle in uno scenario Paris-aligned, con le vulnerabilità maggiori concentrate in certe regioni e settori economici. Il rischio potrebbe infatti anche essere amplificato in alcune situazioni (e per i relativi portafogli crediti maggiormente esposti), come nel caso di imprese con una rilevante dipendenza dalla fornitura di acqua di superficie che si sommi a un elevato rischio di siccità. Una larga quota di crediti in Sud Europa riguarda proprio aziende non finanziarie che sono esposte a entrambi questi rischi.

 

Allo stesso tempo, l’analisi esplora come l’economia dell’eurozona stia impattando la natura e i suoi servizi ecosistemici, confermando la “doppia materialità” dei rischi di biodiversità (outside-in e inside-out). Sono due i principali driver attraverso i quali si sta verificando questo impatto: l’utilizzo della terra e il climate change. I calcoli della Banca centrale europea portano a una perdita di 582 milioni di ettari a livello globale, il 60% dell’Europa continentale. L’analisi considera  la conversione del territorio che è già stata osservata e perdite potenziali di biodiversità nei prossimi 100 anni a causa del potenziale di riscaldamento globale delle emissioni di gas serra nel 2021. Altri driver importanti (ma non considerati) sono lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento, e rendono probabilmente le cifre riportate una stima al ribasso delle reali perdite di biodiversità.  Chi finanzia nell’eurozona questo impatto negativo sulla biodiversità? In sostanza poche banche: «Le dieci banche con il più grande impatto sulla natura – scrive la Banca centrale europea – sono responsabili per il finanziamento di circa il 40% della perdita di biodiversità stimata a livello mondiale e causata dalle imprese non finanziarie appartenenti all’area euro». La percentuale sale al 90% se si considerano le 100 banche con il maggiore impatto. Emerge quindi un’alta concentrazione di finanziamenti di attività con un impatto negativo sulla biodiversità e, quindi, di rischio di transizione. «La legislazione che punta a contrastare il degrado ambientale – osserva l’istituto di Francoforte – potrebbe portare ripercussioni finanziarie su queste istituti di credito».

La biodiversità si conferma quindi un tema cruciale per la transizione e lo sarà anche al prossimo salone.SRI di Milano, dal 2016 l’evento di riferimento per la filiera della finanza sulla frontiera ESG, che svilupperà il tema “La forza della transizione ESG” (il 19 novembre in Borsa Italiana, IX edizione, iscrizioni da metà ottobre su www.salonesri.it)

 

Elena Bonanni

 

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